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Riassunti

Abstracts

 

15, 2022

 

Il saggio ripercorre la genesi di Lecturae tropatorum, fondata da Costanzo Di Girolamo nel 2007, e si configura come un omaggio al suo ideatore, scomparso nel 2022, che negli ultimi quindici anni ha anche organizzato i Colloqui internazionali legati alla rivista, oltre a gestire in prima persona tutte le fasi redazionali. Si segnalano inoltre, in bibliografia, gli articoli pubblicati in seguito alla morte di Di Girolamo, che testimoniano da una parte lo spessore del profilo dello studioso, dall'altro l'eredità, in termini sia scientifici che umani, lasciata dal maestro.

Ruth Harvey
King Richard I between Dalfi d’Alvernhe and Peire Vidal

Lo scambio poetico di sirventesi di Riccardo I con Dalfi d’Alvernhe (BdT 420.1 e 119.8), insieme alla lunga razo che li accompagna, rappresenta una testimonianza preziosa dell’episodio altrimenti poco documentato del conflitto del re con Filippo Augusto e i suoi alleati alla fine del 1190, al punto che i resoconti degli storici dell’Alvernia si basano principalmente su questa testimonianza letteraria per raccontare gli eventi. La finalità di questo articolo è quella di precisare il più possibile il contesto storico, le allusioni e le implicazioni dei testi poetici, in modo da fornire una base accurata e aggiornata per le ricerche future, e di collocare più dettagliatamente il dialogo avviato da Riccardo nel contesto delle sue relazioni con Peire Vidal, del quale una delle canzoni (BdT 364.16) fornisce il modello e la melodia per lo scambio.

Giorgia Laricchia
Raimon Escrivan, Senhors, l’autrier vi, ses falhida (BdT 398.1)

Il componimento Senhors, l’autrier vi ses falhida (BdT 398.1) di Raimon Escrivan – privo di riferimenti storici, geografici o cronologici, e quindi non databile su base interna – presenta un dialogo allegorico tra due macchine da guerra, la cata e il trabuquet; è classificato come tenzone fittizia e viene considerato un testo politico scritto in occasione dell’assedio di Tolosa (giugno 1218). L’articolo intende offrire una nuova lettura del contrasto: il riesame degli elementi strutturanti, nonché e delle possibilità esegetiche dell’integumentum allegorico, consente di valutare il débat come un’autentica "pastorella" licenziosa e burlesca, scevra dal serioso sovrasenso politico pacificamente accettato dalla critica.

Sergio Vatteroni
Peire d’Alvernhe, Gent es, mentr’om n’a lezer (BdT 323.18)

L’articolo propone una nuova edizione critica del vers religioso di Peire d’Alvernhe Gent es, mentr’om n’a lezer (BdT 323.18). Il testo critico è preceduto dalla discussione stemmatica e seguito dall’interpretazione del componimento, basata soprattutto sul confronto con passi dei Padri della Chiesa. Conlude l’edizione un commento puntuale.

Stefano Milonia
Bernart (de Ventadorn?) ~ Peirol, Peirol, cum avetz tant estat (BdT 70.32 = 366.23)

L’identità degli interlocutori di Peirol, cum avetz tant estat è stata ampiamente discussa, dal momento che gli autori indicati nelle rubriche, Bernart de Ventadorn e Peirol, sono considerati esponenti di generazioni troppo lontane per aver composto insieme una tenzone. In questa nuova edizione, che propone nuove letture di numerosi passaggi oscuri o ambigui, si sostiene che la tenso sia rivolta senz’altro al trovatore alverniate Peirol (BdT 366) e che resti incerta l’identificazione del suo promotore. Rivisitando la cronologia del trovatore alverniate, non è possibile escludere, anche alla luce dei già noti riscontri intertestuali, che si tratti proprio di Bernart de Ventadorn.

 

14, 2021

Il contributo parte dall’interpretazione di Reis glorios, già fornita dall’autore in un articolo del 2009, come un’alba a lo divino, in cui dietro al personaggio convenzionale della gaita si celerebbe la figura di un angelo custode. Ripercorrendo gli ultimi studi e concentrando l’attenzione sulla cobla tràdita da R1T3, in cui si fa riferimento al gilos, l’autore chiarisce il possibile legame tra questo personaggio e il diavolo, notando che se è vero che l’aggettivo latino zelosus (da cui ‘geloso’) non sembra mai riferito direttamente al diavolo, è altrettanto vero che la gelosia e l’invidia ne costituiscono i tratti distintivi.

Il contributo fornisce un’analisi dei componimenti trascritti nella sezione delle canzoni del ms. M che contengono al loro interno uno o più moduli del disamore, dal comjat, alla mala canso, alla chanson de change. Il proposito è infatti quello di assumere come punto di partenza e di osservazione la sezione delle canzoni di un canzoniere, M nello specifico, e di provare a leggerla rintracciando, ove presenti, i moduli che contraddistinguono il canto di vituperio, di abbandono e/o di scambio.

Susanna Barsotti
Raimbaut d'Aurenga, Assaz m'es bel (BdT 389.17)

La canzone Assatz m’es bel di Raimbaut d’Aurenga (BdT 389.17), è tramandata da manoscritti che si distribuiscono tra il ramo orientale e quello occidentale della tradizione. La permutazione delle parole-rima e la presenza di concetti in vario modo ribaditi tramite ripetizione di lemmi e giochi fonici – entro uno schema unico su coblas ternas – consente di individuare alcuni temi portanti messi in luce nella lettura che si propone. Il focus si concentra, in particolare, sulle prime tre stanze, dove Raimbaut esplicita le proprie ragioni in fatto di stile per difendersi dai detrattori e dove predomina, per via allusiva (ossia mediante riutilizzo di lessico e espressioni peculiari) il confronto – non sempre pacifico – con Marcabruno. Il discorso sullo stile e sull’opportunità di esprimere o meno i contenuti celati nel cuore delineano un campo di tensione dove emergono tracce di dialogo con Giraut de Borneill e con Bernart de Ventadorn. Interlocutori possibili e elementi stilistici vengono in aiuto per la ridiscussione della cronologia della canzone, composta probabilmente tra il 1170 e il 1171.

La lectura della canzone religiosa del trovatore veneziano Bertolome Zorzi, di cui è data una nuova edizione, si propone di metterne in luce i tratti di originalità tematica rispetto alla tradizione del trobar religioso (di cui è dato un breve quadro ricostruttivo). La canzone è testimoniata dai canzonieri gemelli IK, come ultima della sezione tripartita Cigala - Calvo - Zorzi. Dopo aver data una nuova interpretazione dei criteri canonici su cui si basa la sezione, la lectura dà conto del rapporto di influenza diretta della produzione religiosa di Lanfranc Cigala sulla canzone di Bertolome Zorzi, mettendo in luce tuttavia i decisivi elementi di scarto, legati alle necessità contingenti del voler dire di Zorzi, e alla sua condizione di poeta prigioniero. L’ultima parte del saggio propone una lettura contestuale della canzone Mal aia cel que m’apres de trobar (BdT 74.8).

A Dieu, en qu’es totz poders è un componimento di argomento religioso trasmesso dal solo canzoniere provenzale C. Il testo si presenta fortemente danneggiato a causa dei tagli delle lettere capitali miniate che caratterizzano il manoscritto. Le tavole del canzoniere e la parte leggibile della rubrica attributiva permettono di assegnare la paternità del testo a Guilhem d’Ieiras. L’articolo fornisce una nuova edizione critica dell’unicum di C, e ne analizza gli aspetti codicologici, metrici e interpretativi. La prima parte del contributo discute le principali ipotesi sulle coordinate storiche e biografiche di Guilhem d’Ieiras: De Conca colloca l’opera del trovatore nella seconda metà del XIII secolo, in linea con gli altri unica del canzoniere C; Gerardo Larghi propone una cronologia più alta, avvicinando l’opera di Guilhem d’Ieiras alle poesie di argomento sacro composte intorno alla fine del XII secolo. La seconda parte dell’articolo espone i problemi esegetici provocati dalle numerose lacune del testo, ed esamina le scelte filologiche dei precedenti editori. La terza parte tratta del genere della canzone di penitenza a partire dalle classificazioni dei testi di carattere religioso contenute nei principali repertori trobadorici. Il componimento di Guilhem d’Ieiras può essere infatti messo in relazione con altre canzoni-preghiera (Gebet) della tradizione in lingua d’oc, e in particolare con Dieus verais, a vos mi ren (BdT 27.4b) di Arnaut Catalan, e Cor ai e volontat (BdT 159.1) del Fraire Menor. La quarta parte del contributo espone le caratteristiche metriche e stilistiche di A Dieu, con lo scopo di sottolineare come esso rientri, secondo quanto ipotizzato da Larghi, nella temperie più vivace della produzione trobadorica piuttosto che in quella del suo tramonto.

 

13, 2020

Fabio Barberini
Rostang, Bels Segner Deus, s’ieu vos soi enojos (BdT 461.43)

La prima parte dell’articolo propone una discussione critica dell’ipotesi di Saverio Guida, secondo cui l’autore di Bels Segner Deus, s’ieu vos soi enojos potrebbe essere il nobile provenzale Raimon Rostaing d’Eyguières, uno dei membri della corte di Raimondo Berengario V, conte di Provenza. L’esame del canzoniere N, l’unico manoscritto che trasmette il componimento, evidenzia che le coordinate cronologiche e culturali del codice hanno come punti di riferimento le corti di Dalfi d’Alvernhe e di Blacatz, e sembra allora più probabile che l’autore della tenzone sia un anonimo poeta provenzale in relazione con la corte di Blacatz. La seconda parte discute l’interpretazione del testo, letto come un componimento comico, ma con un ulteriore serio significato di carattere teologico. L’ultima parte, infine, allestisce una nuova edizione critica del testo e ne esamina i passaggi più problematici.

Andrea Giraudo
Folquet ~ Porcier, Porcier, cara de guiner (BdT 152.1 = 382.1)

Il contributo propone la prima edizione critica del componimento dialogico Porcier, cara de guiner (BdT 186.1a [ma ora 152.1] = 382.1), conservato nei canzonieri P e T e finora pubblicato soltanto da Raynouard. La prima parte del lavoro, oltre a ipotizzare un motivo per la posizione del testo in P, propone di riconoscere nell’interlocutore di Porcier non il conte di Tolosa Raimondo VII (BdT 186), bensì Folchetto (BdT 152), probabilmente legato al casato comitale da vincoli politici. Raimondo VII gioca comunque un ruolo nello scambio di coblas, ponendosi forse come patrono della gara poetica. La seconda parte del lavoro passa in rassegna i punti più problematici del testo, avanzando ipotesi per la loro soluzione. L’analisi linguistica, svolta perlopiù nelle note di commento, evidenzia la presenza di tratti peculiari del Sud-Ovest, coerenti con la probabile lingua degli autori.

Rosanna Cantavella
La teoria dels rims diccionals als manuals poètics trobadorescos i el seu context

Classificació, catalogació i contextualització de la teoria d’un grup de rimes de mèrit que les Leys d’Amors anomenen rim dictional. Aquestes rimes comparteixen el fet d’estar construïdes basant-se no sols en els sons, sinó també en les paraules en rima (per terminació, similaritat, variació o fragmentació). Se n’exposen i caracteritzen els següents tipus: rim maridat; rim equivoch leyal (amb el seu contrapart defectuós, mot tornat); tres tipus de rim equivoch contrafag; rim accentual, rim utrissonan, rim trencat, i rim sillabicat, afegint-hi també una referència als rim fenix. Així mateix es ressegueix la fortuna dels rim dictional als manuals poètics de la tradició trobadoresca i de la llatina medieval, i la seua continuïtat francesa als traîtés de seconde rhétorique.

Francesco Carapezza
La dimensione musicale dei trovatori

Sintesi sugli aspetti musicali della lirica dei trovatori che riguardano più da vicino il testo poetico. Dopo un paragrafo introduttivo sulla scissione disciplinare tra filologia e musicologia e le conseguenze che ne derivano sul piano ermeneutico (§ 1), viene presentata la tradizione scritta delle melodie trobadoriche: canzonieri e tracce musicali, tradizione indiretta e latente (§ 2). Si discutono quindi la concezione del sonum presso i trovatori e la questione della paternità musicale, la funzione della struttura musicale della strofa di canzone (cantus divisio) e le sue ricadute sull’interpretazione metrica e testuale (§ 3). Vengono infine considerate alcune questioni generali circa il rapporto fra musica e testo nei diversi generi poetici, fra cui quella del riuso melodico (§ 4).

Luca Barbieri
Arnaut de Maroill e l’Italia dei trovatori

Il contributo rimette in discussione l’ipotesi di un soggiorno genovese del trovatore Arnaut de Maroill avanzata da Tobias Leuker sulla base dell’analisi delle tre canzoni contenenti l’apostrofe «Genoes». L’esame dei tre testi, allargato al resto della produzione del perigordino, mette in rilievo la predilezione di Arnaut per alcuni temi e motivi privilegiati, spesso di derivazione ovidiana, fissati in formule e immagini che hanno goduto di grande successo nella produzione trobadorica contemporanea e successiva. La presenza dell’influenza arnaldiana accomuna alcuni dei grandi trovatori attivi in terra italiana tra la fine del XII e l’inizio del XIII secolo, rafforzando la probabilità di un passaggio in Italia, anche se non necessariamente a Genova, di Arnaut de Maroill, e suggerendone un ruolo non secondario nella diffusione della lirica occitanica nelle corti nord-occidentali, nonché sulla nascita del primo cenacolo di trovatori italiani in lingua d’oc.

Gerardo Larghi
Guilhem de Saint Gregori e un’area della mappa letterario-mecenatesca provenzale finora trascurata

In un documento del 1214 tra gli accompagnatori di Raimondo III di Mévouillon compare un W. de Sancto Gregorio che l’analisi conduce a immedesimare con il trovatore. L'articolo identifica inoltre il coms d’Uzes citato da Guilhem de Saint Gregori in BdT 233.4 con Rainieri III d’Uzès, marito di Garsenda, la madre del conte Raimon Berenguer V di Provenza, e riconosce nel Sabran lì citato quel Guglielmo di Sabran che si autoproclamò conte di Forcalquier. L’analisi di Auzir cugei lo chant e·l crit e·l glat (BdT 231.1), porta a riconoscere nel Sanguiniers lì citato lo stesso Raimondo III di Mévouillon. La terra de Sanguin di cui si discorre in Guilhem Rainol, Auzir cugei, sarebbe dunque il territorio su cui i Mevouillon avevano giurisdizione e al cui centro sorge il Mont Ventoux, noto per la massiccia presenza di Cornus Sanguinea, una pianta denominata sanguin in lingua d’oc. Il trovatore potrebbe essere nato vicino a Gap, e tra 1210 e 1216 aver frequentato le corti della valle della Durenza. Nei primi anni del tredicesimo secolo, e comunque prima del 1218, Guilhem de Saint Gregori fu ospite dei conti di Valence cui dedicò Ben grans avolesa intra (BdT 233.2).

 

12, 2019

Il contributo analizza Amics Ferrairi ~ Amics en Raimon, scambio di coblas fra en Raimon Guillem e Ferrairi, secondo il testo del manoscritto unico P. L’analisi della tradizione manoscritta e della cronologia di altre composizioni relative al milieu estense permettono di identificare i partenaires con Guillem Raimon e Ferrarino da Ferrara: i due coautori, infatti, tessono un encomio di un marchese d’Este in cui si può ravvisare Azzo VII. Si fornisce una nuova edizione critica con commento.

Il presente articolo propone un nuovo commento di En aquel temps que·l reis mori n’Anfos e offre un’ipotesi sulle intenzioni dell’autore nonché un approfondimento sulle circostanze che portarono alla sua realizzazione. Al momento della composizione del testo si registra in Italia una ‘crisi della cortesia’, coincisa con la dipartita dei principali mecenati della poesia trobadorica al di qua delle Alpi e con la successiva crisi dei casati che avevano offerto un rifugio ai faidits provenienti dal Midi. L’avvento del nuovo imperatore Federico II, a cui la Meggia è indirizzata, portava con sé grandi aspettative da parte sia degli esponenti del mondo feudale italiano sia dei trovatori. Aimeric de Peguillan seppe interpretare queste attese ideando un componimento forse unico nel suo genere.

Questa lettura propone un cambio di prospettiva sul celebre sirventese di Aimeric de Peguilhan Li fol e·ill put e·ill fillol. Abbandonata l’idea che si tratti di un’invettiva virulenta dettata da ragioni personali, così come proposto finora, questo testo satirico viene inserito nel contesto delle performance trobadoriche di tipo comico-realistico, messe in scena in area ligustico-piemontese per l’intrattenimento e l’indottrinamento delle corti. In questo modo è possibile liberarsi delle incoerenze che scaturivano dalla precedente interpretazione e ricollocare il componimento nel suo contesto storico e geografico: oltre a chiarire alcune dinamiche della tradizione manoscritta, le conseguenze della nuova impostazione coinvolgono il livello linguistico e storico e permettono di valutare più a fondo la polisemia del lessico scelto da Aimeric, di confermare, consolidare e rettificare i dati storici apportati a suo tempo da De Bartholomaeis, di ricostruire meglio il messaggio che l’autore desiderava trasmettere al pubblico. Pubblico che, del tutto trascurato dalla critica, ma chiamato direttamente in causa dall’autore, acquisisce ora un’importanza fondamentale per comprendere il testo. Dall’invettiva si passa così al gioco di società, più o meno fortemente originato da situazioni concrete. L’edizione critica del testo affronta infine in questa luce le questioni ecdotiche, lessicali e interpretative, dai termini dell’incipit al famoso verso sul gioco dei dadi, dal luogo e anno di composizione ai doppi sensi di cui il sirventese è disseminato.

Giovanni Borriero
Raimbaut de Vaqueiras, Savis e fols, humils et orgoillos (BdT 392.28)

La lettura si propone di indagare principalmente i meccanismi retorici implicati nella costruzione degli opposita che, a partire dalla prima cobla, si irradiano nelle strofe successive, con particolare attenzione alle coppie di antonimi savis ~ fols, humils ~ orgoillos, cobes ~ larcs, volpills ~ arditz. L’analisi, in particolare, è incentrata sulle strategie di inventio delle antitesi che instaurano un rapporto tra virtù cardinali (Prudentia ~ Stultitia, Fortitudo ~ Inconstantia), vizi capitali (Superbia ~ Humilitas, Avaritia ~ Liberalitas), pregi cortesi (gauzens ~ marritz, plazens ~ enojos, vils ~ cars, vilans ~ cortes) e i loro corrispettivi contrari. L’articolazione degli opposita viene poi regolata a livello di dispositio attraverso calibrati criteri di simmetria distributiva che richiamano, ma con andamento centrifugo, lo Summationsschema elaborato da Curtius.

Francesca Sanguineti
Bertran de Born, Ara sai eu de prez qals l’a plus gran (BdT 80.4)

Della canzone di crociata Ara sai eu possediamo due versioni: l’una trasmessa da DcFIKd, l’altra tràdita da M. Nel ms. M il testo è curiosamente preceduto da due strofi indirizzate al giullare Fuilheta (BdT 80.17), mentre la parte dedicata alla canzone di crociata comprende tre strofi e una tornada, di cui le prime due assomigliano alle corrispettive di DcFIKd, mentre la terza e l’invio sono esclusive di M. Le due strofi costituistono in realtà un frammento di sirventese giullaresco, tràdito esclusivamente da M 232r, che lo tramanda come un unico testo insieme alle tre strofi che rappresentano una versione alternativa, anteriore e ‘breve’ del canto di crociata. Pertanto, l’ipotesi che si avalla è che di questo sirventese il seguito sia andato perduto e che il copista di M, influenzato dalla perfetta identità di schema metrico e rime, abbia rimpiazzato le strofi mancanti con quelle della canzone di crociata di Bertran (che costituirebbe perciò il modello metrico). Un altro problema che viene affrontato riguarda la relazione tra le due redazioni, visto l’elevato numero di varianti e l’alto tasso di adiaforia, a cominciare dall’incipit, che in M è Ara parra de prez qals l’a plus gran. Proprio l’analisi delle lezioni divergenti consente di tracciare una sorta di sequenza delle redazioni: la disamina di entrambi i testi lascia oltretutto emergere come la versione di Ara sai eu trasmessa da DcFIKd sia stata probabilmente sottoposta a un ulteriore rimaneggiamento da parte dell’autore, in seguito al modificarsi degli eventi storici. Al fine di chiarire le coordinate spazio-temporali e il contesto di composizione di queste due redazioni di un medesimo testo, si ripercorre l’attenta analisi già compiuta da Gérard Gouiran, cercando di approfondirne le conclusioni e giungendo, in alcuni casi, a osservazione leggermente divergenti.

Stefano Milonia
Peirol, Coras que·m fezes doler (BdT 366.9)

In Coras que·m fezes doler (BdT 366.9) Peirol afferma di aver abbandonato la donna che aveva a lungo corteggiato inutilmente in favore di una nuova amata. Questo elemento di cambiamento nell’attività del trovatore ha influenzato la ricostruzione della biografia da parte dall’editore Stanley C. Aston, che, leggendo nei vv. 41-44 un’allusione alla quarta crociata, data l’episodio al 1202. Grazie alle informazioni tratte dal Repertorium morale di Pierre Bersuire è possibile fornire una diversa interpretazione del passo, che esclude ogni riferimento alla crociata. Questa nuova lettura permette quindi di riconsiderare la cronologia dell’attività di Peirol e l’autenticità dell’attribuzione di composizioni che, per essere troppo antiche o troppo recenti, sono state oggetto di dibattito. Il contributo propone inoltre un nuovo testo critico della canzone, con discussione della tradizione manoscritta, traduzione e commento originali.

Samuele Maria Visalli
Marcabru, Ueimai dey esser alegrans (BdT 293.34)

Il vers n. 34 del corpus lirico di Marcabru ha avuto scarsa fortuna se appuntiamo l’attenzione sulla sua tradizione manoscritta (solo due canzonieri: CR). Per converso, abbiamo moltissimi interventi critici vòlti a far luce sull’identità del Cabrieyra cui il trovatore guascone invia il proprio vers. Quest’ultimo, come specificato nell’‘invio’, è indirizzato ad Urgel, luogo di residenza dell’esponente della famiglia dei Cabrera presso la cui corte il componimento dovrà essere ‘illustrato’. In questa sede si tenterà di connettere la tematica del componimento alla realtà storica del destinatario, cercando al contempo di cogliere tutti quegli elementi che ineriscono al più tipico trobar marcabruniano: laus temporis acti, la polemica contro l’imbastardimento della stirpe. Una volta riconfermato su il profilo del nobile catalano, la struttura argomentativa e il contenuto del vers acquistano un rinnovato interesse. In tal senso, giova il raffronto con l’altro ‘invio’ conservato dalla tradizione e diretto a Jaufre Rudel, destinatario di un noto vers. Proprio mettendo in contatto personaggi e corti all’apparenza molto distanti tra loro sia sul piano geografico sia su quello sociale, si possono comprendere le ragioni di molta della produzione poetica di quei trovatori, tra cui lo stesso Marcabru, alla costante ricerca di protettori e di ascoltatori.

 

11, 2018

In questo articolo si critica l’idea che la poesia dei trovatori nasca come espressione di una nuova ideologia cortese (fin’amor, ‘amour courtois’), e così anche quella che essa esprima contenuti in senso lato religiosi (senza però mettere in dubbio la cultura scolastica e religiosa di molti trovatori). Si sostiene invece che la novità rispetto alla poesia cantata ‘tradizionale’ è il fatto che cantare e ascoltare canzoni è diventato un uso sociale delle corti, tanto che il canto ha potuto prendere anche una funzione pubblica e politica, e che in relazione con questo è nato l’interesse per la conservazione e la trasmissione dei testi e ha preso un’importanza prima sconosciuta la personalità degli autori; tutto ciò all’epoca di Guglielmo di Poitiers, e non prima. Si esaminano alcuni aspetti e contenuti della poesia dei primi autori (lo stesso Guglielmo, Jaufre Rudel, Cercamon, Marcabruno, e si sostiene che prima dell’età di Bernart de Ventadorn esistono solo sparsi elementi dell’ideologia poetica cosiddetta della fin’amor, che solo con Bernart si può dire pienamente sviluppata.

L’articolo tratta delle traduzioni arnaldiane di Ezra Pound e mostra le trasformazioni metodologiche e stilistiche dell’operare poundiano dalle prime versioni in prosa preparate per The Spirit of Romance (1910), fino alle due edizioni integrali del corpus del trovatore, in inglese e in versi, pubblicate solo parzialmente sulla rivista The New Age (1911-1912) e nella raccolta Instigations (1920). L’analisi di queste traduzioni mostra l’atteggiamento ‘filologico’ di Pound nei confronti del testo in provenzale e delle edizioni moderne (in particolare, Canello 1883 e Lavaud 1910). La canzone di Arnaut Daniel Chansson doil mot son plan e prim (BdT 29.6) è presa come esempio delle varie fasi di ri-elaborazione poundiana, anche perché beneficia di una ulteriore traduzione intermedia, inserita nell’antologia di brani trobadorici adattati dal pianista Walter Morse Rummel, Hesternae Rosae (1913).

Scegliendo come manoscritto-base il canzoniere occitano R, il contributo propone una nuova edizione della canzone-sirventese Si·l gen cors d’estieu es remas del trovatore Guillem Godi. Attraverso una riflessione testuale, documentale e di filologia materiale, la lettura propone una datazione più tarda per il componimento (secc. XIII ex. - XIV in.); inoltre, si ipotizza cautamente una possibile identificazione dell’autore con il cardinale Guillem de Peire Godin (1260-1336).

Margherita Lecco
Il plazer nella poesia occitana e italiana

Pochi studi sono stati dedicati alla classificazione e all’analisi del plazer nelle lirica provenzale e italiana dei secoli tra XII e XIV. L’articolo si propone di esaminare alcuni risultati ottenuti dalla ricerca ormai datata di Otto Gsell, suggerendo la possibilità di aggiungere alcuni titoli poco noti ed esaminati ed una minima sintesi di strutturazione del genere (formule introduttive, oggetti o sentimenti di ‘piacere / gioia’, comparazione amorosa).

L’anonimo Si tuch li dol e·l plor e·l marriment (BdT 80.41) è un planh che, fra i 45 esemplari supersiti di questo particolare genere lirico databili entro il XIII secolo, si distingue per l’intensità e la sapiente costruzione retorica. La tradizione superstite, scarsa e tardiva, contrasta con la fortuna che il componimento parrebbe aver avuto già nell’Italia del tempo di Dante (dove era forse già diffusa l’attribuzione a Bertran de Born). Ascrivibile al 1183, anno di morte del re giovane, figlio maggiore di Enrico II Plantageneto, il planh è conservato solo in tre manoscritti: a2 che lo attribuisce a ricartz de berbeziu, c che lo assegna a Peire uidal e T, che lo ascrive a Beutran dalborn. Nessuna delle tre attribuzioni può considerarsi certa, ma la terza ha avuto, a partire dal secondo Ottocento, un grande successo e il componimento si trova fra quelli di Bertran de Born in tutte le edizioni: perfino la BdT lo classifica sotto il numero corrispondente al trovatore, e come di Bertran lo si trova citato in molti studi anche recentissimi, a volte senza nemmeno la cautela che mostra ancora Martín de Riquer nella sua antologia, pur includendolo fra le poesie autentiche. Eppure l’assegnazione al trovatore di Autafort di BdT 80.41 (di cui si allestisce un nuovo testo critico) è la meno probabile, come si cerca di dimostrare, vagliando le attribuzioni alternative: le due indicate dalla tradizione manoscritta, ma anche altre, prendendo in considerazione i trovatori che avrebbero potuto lamentare pubblicamente la morte del re giovane.

Il contributo è dedicato allo studio e all’edizione critica della canzone Non an dig tan li primier trobador di Guilhem de Montanhagol (BdT 225.7). Nel corso dell’illustrazione delle strategie retoriche adottate dal poeta, si affronta il problema (presentato in ottica intertestuale) del rapporto tra Non an dig tan e Tanto gentile di Dante e si valuta il possibile debito concettuale del componimento nei confronti del De amore di Andrea Cappellano.

L’articolo è una ripresa delle questioni testuale e interpretativa sulla celebre alba di Giraut de Borneill, a partire dagl’importanti studi che le sono stati dedicati negli ultimi dieci anni. Sono presentati un nuovo esame della tradizione e il commento di luoghi rilevanti del testo, seguiti da un’interpretazione complessiva del componimento, collocato nel perimetro dell’alba amorosa ma riconsiderata e ‘contestata’ alla luce del moralismo di Giraut.

Il saggio propone una nuova lettura della conplancha in morte di Roberto d’Angiò (1343). La linea principale dello studio considera l’accordo del testo poetico con la miniatura istoriata che lo accompagna una sorta di manifesto promozionale, assimilabile in parallelo alla ben nota politica di propaganda di legittimità dinastica adottata dalla prima casa angioina fin dagli albori della sua instaurazione. L’ipotesi avanzata è che la palese falsificazione storica offerta dal testo e illustrata dalla vignetta intendesse esprimere una precisa posizione politica, sostenuta dalla fazione provenzale capeggiata dai de Baux, a favore di una linea ereditaria maschile della contea di Provenza e del Regno. La conplancha è così inserita nel turbolento clima delle lotte per il diritto di successione al trono accesosi alla morte del sovrano angioino. Ulteriori linee di indagine riguardano la particolare collocazione del testo lirico-narrativo nello spazio trobadorico trecentesco. Sia la forma metrica che la struttura narrativa consentono di mettere in relazione il componimento con la contigua tradizione italiana del ‘lamento storico’, che in quegli stessi anni si esprimeva in serventese, e del cantare d’argomento politico, del quale sono individuabili i tipici procedimenti retorico-narrativi. Peculiarità linguistiche e dettagli artistici nello stile figurativo concorrono a precisare le due componenti principali di origine provenzale e napoletana che caratterizzano la composizione.

 

10, 2017

L’assunto di questa lettura è che la canzone di Arnaut Daniel in esame sia un inno ironico-polemico o, se si preferisce, sarcastico-polemico, al masochismo della fin’amor, quella pura e dura, quella degli amori impossibili che comportano una sopportazione senza fine e senza limiti delle sofferenze derivanti dal cronico e inappagabile desiderio di gratifica amorosa. In quest’ottica, si cercherà anche di dimostrare come il locutore sia fino alla fine della sesta cobla al tempo stesso amante masochista, seguace irriducibile della fin’amor, e censore disincantato di questa pratica amorosa, che confina con la devianza patologica e la mania: sia, insomma, contemporaneamente il malato e la coscienza della malattia.

L’articolo offre nuove edizioni critiche, con apparato, commento e traduzione, di Ja no cujey que·m pogues oblidar (BdT 10.30) e S’ieu hanc chantiei alegres ni jauzens (BdT 10.48). La lettura, in particolare, si concentra su una nuova ipotesi attributiva di S’ieu hanc chantiei alegres ni jauzens: Ja no cujey que·m pogues oblidar e S’ieu hanc chantiei alegres ni jauzens, tràditi rispettivamente da CDEIKR e da CR, sono due planhs dedicati congiuntamente ad Azzo VI d’Este e Bonifacio di Sambonifacio (conte di Verona). Nonostante i canzonieri assegnino entrambi i componimenti ad Aimeric de Pegulhan, ci sono a mio avviso alcuni elementi per dubitare della paternità di S’ieu hanc chantiei alegres ni jauzens, primo fra tutti il fatto che la fonte CR attribuisca allo stesso autore due planhs dedicati alle medesime persone. La nuova ipotesi attributiva è illustrata anche attraverso un confronto con la tradizione manoscritta dei planhs occitanici in generale.

La canzone Nulhs hom no sap que s’es gautz ni dolors (BdT 10.39) di Aimeric de Pegulhan fa parte della sezione amorosa del canzoniere del trovatore tolosano. L’analisi cobla per cobla del contenuto mette in luce alcuni legami tra questo e altri componimenti del trovatore, nonché i possibili agganci a Nulhs hom no sap di altri componimenti trobadorici e italiani: Dante da Maiano, Guittone, Mazzeo di Ricco ecc. In qualche caso l’interpretazione si discosta da quella fornita dagli editori precedenti, William P. Shepard e Frank. M. Chambers. L’analisi metrica sottolinea l’assenza della tornada, cosa non comune nella produzione di Aimeric, nonché la vicinanza di questa canzone, anche parzialmente tematica, a Hom ditz que gaugz non es senes amor (BdT 10.29). L’analisi della tradizione manoscritta (quattro testimoni in tutto: C, R, O, c) mostra che lo stemma di Shepard e Chambers si basa su presupposti inconsistenti, e che i dati a disposizione in realtà non consentono di stabilire rapporti precisi tra i manoscritti, se non tra O e c.

Guilhem de l’Olivier d’Arles nelle sue coblas Sert es qui a mal vezi (BdT 246.14), e Escrig truep ieu en Salomo (BdT 246.22) traduce la tradizionale poetica dei trovatori nella nuova sensibilità della cavalleria urbana che stava governando i municipi delle città site lungo il fiume Rodano. In questi due componimenti i temi della ‘parola’, dell’amicizia, della corte, della sapienza sono adattati all’ambiente comunale. L’analisi semantica e l’individuazione delle fonti usate dal poeta collocano questi versi nel pieno di una campagna tesa a costruire una nuova cultura municipale, diversa e distante dalla cultura feudale.

L’obiettivo del contributo è riflettere su una tipologia testuale ‘di confine’ ben rappresentata dal vers di Marcabru, quella del ‘rifacimento’ o ‘riscrittura’. Il codice C trasmette infatti una versione alternativa del testo, grazie a numerose varianti adiafore e all’aggiunta di diverse coblas in attestazione unica; tutto ciò avviene nel contesto di una tradizione complessa che una disposizione perturbata delle strofe nei testimoni di tradizione linguadociana e in a. Si proverà a proporre una nuova chiave di lettura per i fenomeni di alterazione, imputandoli a un processo orale, dovuto ai giullari, che entra a far parte della tradizione scritta, superando quindi il vecchio paradigma dualistico fra oralità e scrittura nella poesia dei trovatori.

Si presenta una nuova edizione con commento della cobla provenzale di Paolo Lanfranchi da Pistoia. Tràdita unicamente nella sezione di esparsas contenuta nel canzoniere P (ff. 55-66), essa (un «Sirv.[entes] in Form eines Sonetts», BdT, sub 317.1) occupa una posizione straordinariamente importante nel quadro della ricezione-rielaborazione nell’Italia centrale della lirica siciliana e occitanica. Più volte oggetto di indagini (anche recentemente: Mascitelli 2015), la cobla si leggeva tuttavia fino ad ora in una edizione (Kleinhenz 1971) che, notevole sul piano dell’esegesi e della contestualizzazione storica, appare discutibile in più punti per le scelte testuali e comunque carente per quanto attiene all’analisi linguistica. Nell’articolo si propone in particolare l’ipotesi che Paolo Lanfranchi possa avere avuto un ruolo attivo nell’attivare il canale di comunicazione tra Toscana e Catalogna chiaramente rintracciabile nel canzoniere P.

Ci si propone di riaprire il dibattito sulla struttura delle epistole di Raimbaut de Vaqueiras al marchese Bonifacio I, inteso a stabilire se si tratti di tre testi autonomi, redatti in momenti diversi, del sodalizio tra il trovatore e il suo mecenate, o di un testo elaborato in un’unica soluzione, in oriente: la prima ipotesi, di Schultz-Gora, sembra confermata dal riferimento, in ciascun testo, a eventi verificatisi in tempi diversi e in ambienti diversi; la seconda, sostenuta da Crescini, ritiene strutturale la tradizione unitaria e anticronologica consegnata nei mss, e ne colloca l’elaborazione complessiva a Salonicco o a Costantinopoli nella primavera del 1205. In questo contributo ci si propone di rivalutare la lettura di Schulz-Gora ritenendo incongrua la tesi unitaria che non tiene conto né delle diversità di ambito referenziale di ciascun testo, né della difficoltà di collocarne la composizione a ridosso della disastrosa sconfitta di Adrianopoli.

 

9, 2016

L’articolo riconsidera la bibliografia relativa a Bonifacio Calvo mettendo in rilievo la necessità di nuove ricerche sul suo ruolo all’interno dell’esperienza trobadorica, focalizzate soprattutto sull’analisi della sua produzione lirica. Lo studio si concentra quindi su Er quan vei glassatz los rius, uno degli esempi più puri della fortuna della maniera poetica di Arnaut Daniel nella seconda metà del XIII secolo: la lirica è fondata sulle coblas dissolutas e su alcune delle rime di Er vei vermeils, vertz, blaus, blancs, groecs (BdT 29.4), il suo modello principale.

Il saggio identifica, nel complesso ibridismo linguistico del testimone monacense di Reis glorios, la presenza di alcune forme riconducibili a uno strato italiano settentrionale, precedente alla patina siciliana già individuata in un recente saggio di Costanzo Di Girolamo. Questa stratigrafia linguistica illumina il percorso compiuto dall’alba di Giraut de Borneil al di qua delle Alpi: una tradizione italiana che ha il suo inizio nelle regioni nordoccidentali più in contatto con la Provenza e da lì prosegue verso la Sicilia. La nuova interpretazione di alcune forme implica, inoltre, l’ipotesi di una fattura italiana dell’ultima strofa, trasmessa unicamente da questo manoscritto.

Raimon Bistortz d’Arles rientra nel gruppo di trovatori attivi verso la metà del secolo XIII e legati alla corte estense, a cui è dedicata particolare attenzione nella sezione conclusiva del codice provenzale F (Chig. L.IV. 1). Questa canzone si segnala per la sua lunghezza: 96 versi, suddivisi in 3 coblas singulars. Lo schema metrico (Frank 233:4) è condiviso dalla pastorella di Joyos de Toloza, L’autrier el dous temps de pascor (BdT 270.1) e dallo scambio di sirventesi Lanfranco Cigala - Lantelmo (BdT 282.13 e 283.1). Rispetto alle precedenti edizioni critiche (Kolsen, 1928, e Rivière, 1986), le poche correzioni apportate riguardano soprattutto sviste evidenti. Tra i luoghi dubbi si segnalano i vv. 9-12 e la porzione finale del componimento (vv. 81 e ss.) caratterizzata da un’accentuata ambiguità logica e semantica, che invita ad una rassegna ragionata delle precedenti proposte traduttorie.

L’articolo propone una nuova edizione critica di D’una leu chanso ai cor que m’entremeta di Guillem Peire de Cazals, accompagnata da un commento volto a contestualizzare la canzone entro la modalità poetica della mala canso. Il testo, una vera e propria ‘canzone di disamore’, è databile agli anni 1229-1230 e costituisce un cambiamento di rotta da parte del trovatore caorsino, sia sul piano tematico che sul piano stilistico. Il riflesso di tale cambiamento è ravvisabile fin dal binomio incipitale, leu chanso – che si carica di un particolare sovrasenso retorico –, e prosegue nel corso del récit, dove si rintraccia l’uso di un vocabolario e di temi tipici della ‘modalità’ del disamore.

Il riconoscimento di un testimone siciliano nella tradizione di Reis glorios (Di Girolamo, 2010) e la scoperta di una traduzione italiana nord-occidentale della canzone (Bertoletti, 2014) propongono sotto una nuova luce la questione della diffusione della lirica trobadorica in Italia, in particolare all’epoca della formazione della Scuola siciliana. In questo quadro, è possibile riconsiderare la provenienza del canzoniere T, che dell’alba di Giraut ci conserva un testo strettamnente imparentato con il testimone italiano meridionale estremo di Monaco e con quello italiano settentrionale dell’Ambrosiana. Le tre testimonianze ci danno anche conto della fruizione dei trovatori al di fuori di canali curiali, quindi di una fruizione più condivisa e più capillare. Alcune tracce linguistiche presenti nell’alba di Monaco, rilevate da Bertoletti nel saggio pubblicato in questo stesso volume della rivista, sono la definitiva conferma del ritrovato passaggio a nord-ovest.

Su Joyos de Tholoza non si hanno notizie certe. Probabilmente proviene dalla Contea di Foix ed è vissuto nel secondo quarto del XIII secolo. Nella terza cobla dell’unica lirica che ci è pervenuta il trovatore dice di chiamarsi Joyos e di provenire da Tholoza. Sicuramente l’appellativo che si attribuisce non è reale, ma si connota come un espediente retorico che il poeta utilizza per creare un’antinomia con il suo vero stato di amante triste e sofferente. L’autrier el dous temps de pascor (BdT 270.1) è un unicum, contenuto nel canzoniere C, ed è un testo che presenta non poche particolarità sia dal punto di vista metrico che tematico. Questo intervento propone una riflessione sullo schema metrico e rimico della lirica e, dal punto di vista tematico e lessicale, sul suo aspetto polifonico.

Atressi cum lo camel è una delle sette liriche amorose di Bartolomeo Zorzi che segue il filone del trobar prim. All’intelaiatura lirico-amorosa, intessuta di spunti interessanti e di rimandi colti agli auctores occitanici, Zorzi interseca una rete fitta di similitudini, di metafore e di paragoni che si susseguono di cobla in cobla, uniti e appoggiati alle figure di parola e all’uso delle rimas caras. Utilizza immagini che attinge dal vasto repertorio naturalistico, dal serbatoio dei testi biblici oppure prende in prestito personaggi letterari per esprimere un determinato stato d’animo dell’io lirico. Attraverso l’uso di questi artifici retorici, il trovatore lascia intravedere la sua personalità poliedrica che gli ha permesso di impreziosire la sua produzione lirica con diverse conoscenze acquisite negli ambienti municipali delle città dell’Italia settentrionali.

 

8, 2015

Nella prima parte dell’articolo si illustra un progetto di edizione critica del libre di Guiraut Riquier, che intende rispettare l’ordinamento cronologico dei testi quale indicato dal poeta nelle relative rubriche dei due manoscritti (C e R) che lo hanno tramandato, e si discute sulla collocazione da dare nell’edizione al gruppo delle tenzoni che il solo R trascrive, ma in altra zona del codice e senza rubriche attributive. Nella seconda parte si passa a livello testuale per approfondire il senso del collegamento riquieriano-alfonsino tra inventores e trobador (Declaratio, vv.136-137), orientando la ricerca sulla tradizione classica dell’inventio retorica, e dando particolare rilievo alla traduzione «trouvemens» di Brunetto Latini (Tresor (III, 11), ‘trovamento’ in traduzione italiana.

L’autrier cuidai aber druda fait partie de ces rares textes écrits en langue mixte tenant à la fois du français et de l’occitan, avec les lais Markiol et Nompar conservés du reste dans le même manuscrit français dit Le chansonnier du Roi, parmi une collection de pièces de troubadours, la plupart copiés en une langue mixte également. Le cantonnement de ce genre de textes dans des chansonniers de trouvères semble particulièrement significatif d’une tradition spécifique qui consistait à diffuser les chansons de troubadours non pas dans la langue originale, mais dans une version francisée qui permettait de conserver du prestige de la langue source tout en maintenant les particularités formelles les plus essentielles du poème: mesure des vers et système sophistiqué des rimes. Cette tradition semble avoir encouragé des trouvères – restés dans l’anonymat – à composer des poèmes dans cette langue mixte, dans des formes qui sont souvent caractéristiques de la poésie des trouvères. Le présent texte est une adaptation lyrique d’une parodie des Amours d’Ovide connue sous le nom de De Vetula, dont l’interprétation a donné lieu à des opinions diverses que nous discuterons, en en approfondissant l’étude linguistique.

La canzone-sirventese Pus ubert ai mon ric tezaur di Peire Vidal è caratterizzata, soprattutto nella parte centrale (coblas II-VI), da un uso particolarmente creativo della lingua che culmina nell’invenzione verbale; benché i commentatori abbiano colto il valore allusivo ed etimologico delle coniazioni toponimiche di cui il testo è disseminato, non si è finora fatta piena luce sul significato celato dal linguaggio eufemistico. L’analisi qui condotta vuole evidenziare tale livello secondario di lettura, che disvela uno scenario spiccatamente erotico e a tratti scabroso ma sempre mantenuto su un piano ludico e umoristico.

Riccardo Cuor di Leone è autore di almeno due canzoni, la celebre rotrouenge, Ja nus homs pris ne dira sa raison (BdT 420.2), e il sirventese, molto meno noto, Daufin, je·us voill deresnier (BdT 420.1). Il presente intervento costituisce un primo approccio a quest’ultimo e cercherà di collocare il testo nel contesto storico e di fissare una data di composizione. Si suggerirà anche che la lingua del poema, trasmesso solo da canzonieri occitani, sia un esempio della scripta francese occidentale associata all’area plantageneta durante il secolo XII. Tale discussione servirà come primo passo verso l’edizione del testo, che nel frattempo è offerto qui nella versione di B, probabilmente il miglior manoscritto.

El propósito de este trabajo es analizar el uso del senhal Bonafos que se encuentra en el v. 27 del partimen entre Cavaire y Bonafos, como un senhal satírico-paródico. Proponemos hacer extensivo a este apelativo el mismo análisis que realizamos con su opuesto, Malafos, en contextos discursivamente alejados de la canso. Tal es el caso de la pastorela y del partimen que nos ocupa. El uso de la ironía ecoica y sus interacciones con la sátira y la parodia habrían facilitado la ‘refuncionalización’ de este antiguo modalizador discursivo en un apelativo satírico-paródico en este caso. Asimismo tenemos en consideración el empleo que los Judíos del sur de Francia habrían hecho de Bonafos en la Edad Media. Los datos aportados por investigaciones previas así como por el Geopatronyme nos han facilidado esta interesante información. Sin embargo, no pensamos que en este partimen Bonafos haya sido el nombre real del juglar en cuestión. Por el contrario, nuestra hipótesis es que, incluso el antropónimo Bonafos, habría mantenido ‘encapsulado’ aquí el eco de su hipotético origen: el modalizador discursivo (anc) bona fos.

L’articolo propone una nuova edizione critica commentata di Lo joi comens’en un bel mes, il vers più ampiamente testimoniato di Arnaut de Tintinhac. Il testo, databile alla metà del secolo XII, svolge un’ampia riflessione sulla fin’amor, presentata in termini di disciplina di perfezionamento individuale in cui proprietà di comportamento e capacità di retta valutazione da parte dell’amante sono reciprocamente inscindibili. Il contributo avanza una lettura a campo stretto di Lo joi comensa, in cui le ragioni dell’analisi letteraria interagiscono con quelle della critica testuale. La tradizione manoscritta del componimento si presenta infatti come molto perturbata: solo quattro manoscritti (CERc) trasmettono il vers in forma completa, opponendo però due diverse strutture strofiche (CER vs. c) e una serie estremamente cospicua di varianti adiafore. L’edizione proposta, pur confrontandosi sistematicamente con il testo relato dal subarchetipo c-DaIK, si attiene alla tradizione occidentale rappresentata da CER.

La sezione centrale del canzoniere provenzale della Biblioteca de Catalunya (ms. 146), universalmente citato con la sigla Sg attribuitagli per la sua provenienza da Saragoza (biblioteca di Gil y Gil), continua a confermarsi fonte di notevole interesse per lo studio della ricezione della poesia trobadorica in ambiente catalano, in un periodo ormai dominato dal consolidarsi di una nuova tradizione poetica, quella consistoriale della gaia scienza di matrice tolosana. Un ambiente e un periodo che non potevano non condizionarne sia le scelte autoriali e testuali – con le conseguenti inclusioni ed esclusioni – sia il corredo attributivo che le accompagna, in parte ascrivibile a una tradizione spesso già inquinata ma in parte dovuto anche – soprattutto negli unica – a un parassitismo mimetico, corredato da abusivismo ‘insertivo’, per taluni testi di cui, come già in altri lavori, si è tentato di individuare il grado di ‘impertinenza’ e di proporne l’iscrizione nel registro degli indagati, il rinvio a giudizio o ancora, direttamente – nei casi di più patente arbitrarietà – l’espunzione. L’obiettivo stavolta è puntato principalmente su un planh attribuito a Raimbaut de Vaqueiras (394.4a), che Sg condivide con Ve-Ag, e i tre unica assegnati dal solo Sg a Giraut de Borneil (242.18a, 52a, 69a).

Dopo lo studio pubblicato da Richard E. F. Straub nel 1995, sono generalmente accettate le datazioni da lui proposte – fra il 1270 e il 1285 – dei quattro sirventesi di Guilhem Anelier de Tolosa a noi pervenuti, di cui Straub ha fornito anche una nuova edizione critica; viene di conseguenza accolta anche la sua identificazione con il Guilhem Anelier de Tolosa che scrisse, intorno al 1280, La canzone della guerra di Navarra. In questo lavoro, che accompagna l’edizione critica di Ara farai, no·m puesc tener, è dimostrata la incongruità di queste datazioni – inaccettabili per ragioni storiche, ideologiche e letterarie – ed è discussa in particolare la data del sirventese in questione, la cui composizione deve essere collocata fra il 1216 e il 1222, più probabilmente nel periodo che va dal maggio-giugno del 1218 al giugno del 1219. Uno degli elementi cardine della dimostrazione è costituito dall’identificazione dell’enfans menzionato nel componimento con il futuro Raimondo VII di Tolosa, allora principe ereditario.

 

7, 2014

L’articolo predispone un commento e una traduzione dei due contrafacta della sestina di Arnaut Daniel, ovvero Ben gran avolesa intra di Guilhem de Saint Gregori e En tal dezir mos cors intra di Bartolomeo Zorzi. Per il primo, una vera e propria invettiva contro Aimiers II di Poitiers, si mette in rilievo soprattutto la continua ricontestualizzazione delle immagini di Arnaut (della sestina ma anche di altri componimenti del suo canzoniere) per rivalutare le caratteristiche innovative del testo e le sua qualità. Attraverso una disamina lessicale, l’articolo dimostra poi il profondo rapporto tra la canzone dello Zorzi e il precedente guglielmino. Analizzando in particolare il comune motivo infernale, si propone d’interpretare il testo di Bartolomeo come una risposta alla composizione arnaldiana e alla sua espressione del desiderio carnale. Lo studio si concentra soprattutto sulla relazione tra la pulsione sessuale e il tema della dannazione dell’anima: Zorzi attacca continuamente il ferm voler di Arnaut, condannato evocando il Perceval di Chrétien de Troyes (anche al di là del rinvio esplicito del v. 18) e il suo incessante richiamo ai doveri nei confronti della famiglia.

Sebbene più volte edita, L’autr’ier al quint jorn d’aprieu continua a porre problemi soprattutto per le anomalie che affettano la regolarità della versificazione. In questo articolo si propone una nuova edizione del testo, fondata sull’ispezione diretta dell’unico relatore (il canzoniere f): il rilievo della sistematica assenza di punto metrico nei vv. 7 e 8 di ogni strofe porta a supporre che, in luogo dei due tetrasyllabes con identica rima ipotizzati dai precedenti editori, il testo dell’Anonimo recasse, al settimo verso di ogni cobla, un octosyllabe con rima interna, con l’unica eccezione dell’ultima strofe, dove però l’assenza di rima al mezzo è funzionale alle linee ideologiche (anacronisticamente) marcabruniane del componimento. La struttura così ricostruita coincide, nella (rarissima) successione delle rime, ma non dei metri, con quella del sirventese di Cerveri, Ara∙m lunya joy e chan (BdT 434a.4), contrafactum a sua volta della pastorella del troviero Thibaut de Blaison, Hu main par un ajornant. La circolazione del modello oitanico in terra catalana e la provenienza della pastorella di f dalla regione linguadociana prossima alla Catalogna fanno ritenere plausibile che l’Anonimo (tra l’altro particolarmente sensibile alla ricezione di modelli francesi) possa essere entrato in contatto con il testo di Thibaut in via del tutto autonoma, senza la mediazione del sirventese del trovatore catalano.

Da più di un secolo si discute circa i rapporti che intercorrono fra il descort e il lai, due forme che mostrano evidenti affinità strutturali, tanto che Jeanroy aveva pubblicato in un unico volume tutti i componimenti antico-francesi appartenenti all’uno o all’altro genere. Nondimeno, non è mancato chi ha evocato la possibilità di poligenesi, anche in ragione di una maggiore libertà formale mostrata dal lai a fronte del rigore, più marcatamente trobadorico e cortese, del descort. I due testi esaminati sono in rapporto di contraffatura, anche se non è facile stabilirne la direzione: il confronto fra di loro mostra chiaramente quali siano i tratti che distinguono l’uno dall’altro genere e permette, in alcuni casi, di risolvere alcuni luoghi problematici di entrambi i testi.

La canzone Molt jauzions è stata vista da molti come come il più antico manifesto della fin’amor e come rappresentativa della vena cortese del primo trovatore, che si contrappone nettamente a quella comica e satirica. Secondo Roncaglia, invece, il componimento conterrebbe un palese riferimento osceno («la désignation triviale du sexe féminin») che metterebbe in discussione l’immagine del poeta bifronte. L’interpretazione che qui si propone nega anch’essa l’idea di un canzoniere articolato su due piani antitetici, ma dà tutt’altra spiegazione del «mot scandaleux» intravisto da Roncaglia e suggerisce un diverso approccio alla componente parodica presente in Guglielmo di Poitiers. Il testo è nuovamente edito e accompagnato da un minuto commento.

Lo studio riesamina e riedita questo componimento non poco problematico allo scopo di leggerlo come una risposta al movimento delle crociate. Si cerca soprattutto di chiarirne il significato piuttosto che di analizzarlo sistematicamente dal punto di vista linguistico e metrico, preoccupazione primaria del lavoro di Dominique Billy del 1995. Il lai è anteriore alla fine del secolo XIII e alcuni indizi suggeriscono una datazione entro la prima metà o intorno alla metà del secolo. Si è sempre dato per scontato che nulla si sappia dell’autore: il nome Nompar, tuttavia, è stato usato dal Medioevo ad oggi dalla famiglia Caumont La Force e sembra che nel corso del secolo XIII siano esistiti tre gentiluomini con questo nome che potrebbero essere identificati, o quanto meno associati, con l’autore. Luoghi particolarmente difficili del testo sono stati reinterpretati e in qualche caso ricostruiti; è stata anche messa in rilievo la notevole abilità del poeta-musicista nell’intrecciare parole, temi melodici e forme strofiche in una canzone che sfrutta con eleganza il diffuso tema della riluttanza del crociato a separarsi dalla sua amata.

Tre componimenti di Bertran Carbonel (una tenzone fittizia tra amante e cuore, un sirventese e un planh) sono accomunati dalla menzione di un misterioso personaggio, «P. G.», ora eletto a giudice imparziale della tenzone, ora denigrato, ora compianto. Questa lettura intende dimostrare il carattere di progymnasmata assunto dai tre testi alla luce di alcune considerazioni metriche, retoriche e stilistiche, rinunciando a ogni identificazione con un personaggio storico (il trovatore Peire Guilhem, come vuole la critica) realmente esistito. Si propone, infine, un nuovo testo critico per ciascun componimento.

 

6, 2013

L’articolo offre un nuovo commento del sirventese Si co·l flacs molins torneia, composto da Tomier e Palaizi. Attivi durante il periodo della crociata contro gli Albigesi, i due trovatori costituiscono un caso eccezionale di collaborazione nel panorama della lirica trobadorica. Tramite il sirventese, gli autori si rivolgono ai partigiani meridionali sostenendoli con il loro canto e attaccando non solo i loro nemici tradizionali, i Francesi e il clero, ma anche i signori occitani che appoggiavano la crociata come il principe d’Orange, Guilhem del Baus. In questo studio si fornisce una nuova interpretazione storico-letteraria e, partendo dal testo di Tomier e Palaizi, si avanzano nuove considerazioni sul rapporto tra i sirventesi occitani scritti in occasione della crociata e la propaganda politica.

Il componimento in esame, composto probabilmente in Italia, è noto principalmente per il suo interesse storico e per la satira contro i Tedeschi. In Bon’aventura, Peire Vidal sembra infatti prendere esplicitamente posizione a favore del marchese Bonifacio I di Monferrato e dei comuni lombardi che erano allora in lotta contro l’imperatore Enrico IV, disceso in Italia alla fine del 1194. Questo contributo, che riproduce l’edizione critica di Avalle e conferma in sostanza la datazione vulgata tra l’autunno del 1194 e l’aprile del 1195, intende precisare le modalità del rapporto tra poesia e politica nell’opera di Peire Vidal attraverso un’analisi del valore documentario della canzone in relazione alle fonti coeve. Si studia quindi l’atteggiamento del trovatore nei confronti dell’attualità, cercando di delineare i contorni di una fedeltà politica fluida e ‘regionale’ che accomunerebbe il poeta tolosano ai suoi contemporanei.

Ho voluto riaprire la discussione sullalla paternità di BdT 392.5a ed esporre le ragioni che depongono a favore di un’attribuzione a Raimbaut de Vaqueiras. Non sono, a mio avviso, da trascurare le affinità tematiche, situazionali ed espressive che intercorrono tra [Oi] altas undas que venez suz la mar e la canzone Belh Monruelh (BdT 70.11), che in altro lavoro ho cercato di dimostrare riconducibile a Raimbaut; costituisce indizio importante il constatare che il motivo del vento, presente nella canzoncina sottoposta a scrutinio, ricorre più volte nel legato poetico del trovatore provenzale, tanto da apparire cifra semiotica testata e consuetudinaria; non può passare sotto silenzio la latente narratività del testo in cerca d’autore, né il carattere popolareggiante che lo contraddistingue, entrambi in linea con le attitudini del «fill d’un paubre cavaillier de Proensa», solito attingere al patrimonio demotico e non alieno dall’adottare e sublimare in una dimensione interclassista elementi di matrice ‘bassa’. Valore dirimente riveste poi l’uso della voce verbale aportai (v. 10), forma dell’imperativo (assicurata dalla rima) diffusa nell’Italia settentrionale (e in particolare nell’area ligure-piemontese, ove Raimbaut soggiornò a lungo) e che, significativamente, è impiegata, con evidente impronta di dialettalismo, al v. 27 della tenzone del trovatore con la genovese (BdT 392.7).

Le circostanze storiche dei due unici sirventesi di Guillem Fabre hanno dato luogo a ricostruzioni molto divergenti. La presente lettura prende le mosse dalla contestualizzazione da parte di Parducci di BdT 216.2 durante la guerra del Vespro e la cosiddetta Crociata aragonese dei Francesi contro Pietro III di Aragona nel 1284-1285. I fatti a cui Guillem allude starebbero avvenendo say entre nos perché era a Narbona che si veniva concentrando l’armata francese e si predicava la crociata. Tutti gli altri dettagli testuali sono compatibili con questo periodo e meglio spiegabili in questo contesto. Parducci colloca il sirventese nel maggio 1285, ma esso deve essere necessariamente anteriore alla morte di Martino IV il 29 marzo di quell’anno, dal momento che il suo successore Onorio IV, prontamente nominato, non poté essere accusato per non avere predicato una crociata contro gli infedeli prima che il conflitto degenerasse in ulteriori atrocità. Inoltre, una leggera anticipazione meglio spiega l’allusione all’«uomo migliore del mondo», che all’epoca non poteva essere che Carlo d’Angiò. Guillem probabilmente compose BdT 216.2 durante i preliminari per la guerra del 1284, prima della morte di Carlo nel gennaio 1285, nel pieno dei preparativi e dei discorsi di propaganza. Si argomenta infine che, a differenza di quanto pensava Parducci, BdT 216.1 non precede necessariamente BdT 216.2.

Questo sirventese presenta diverse difficoltà interpretative, sia locali che generali. La datazione è essa pure problematica, con alcuni solidi argomenti a favore del 1242 (Jeanroy) o del 1285 (Kendrick). Jeanroy pensa che nel sirventese si annunci l’imminente arrivo di Enrico III d’Inghilterra per portare rinforzi alla rivolta meridionale contro la Francia nel 1242; Kendrick coglie invece in esso un tentativo di convincere il pubblico, e specificamente il conte di Rodez, a difendere l’Aragona dall’attacco di Filippo il Calvo di Francia contro la Corona d’Aragona nella cosiddetta crociata aragonese. Il riesame di diversi dettagli linguistici suggerisce che le stanze I-V abbiano un tono ironico; inoltre alcuni riferimenti storici, non presi in considerazione dai precedenti studiosi, mettono in dubbio l’ipotesi di Kendrick a vantaggio della datazione di Jeanroy.

L’assenza di studi specificamente dedicati alle canzoni d’amore di matrice tradizionale all’interno della produzione di Raimbaut de Vaqueiras, a fronte dell’enorme successo critico dei componimenti più sperimentali, è stata ripetutamente stigmatizzata. Questo articolo propone una lettura globale e puntuale al tempo stesso di una canso emblematica della poesia del trovatore. L’analisi comparata di lessico e stilemi permette di correggere un’interpretazione erroneamente fondata sul racconto della razo e di restituire alla pièce la centralità che le spetta nel repertorio rambaldiano. La canzone è inoltre testimonianza, non meno di altri componimenti, dei tratti peculiari della personalità poetica del suo autore : la sua curiosità per il reale e la sua ricettività. La lettura è accompagnata da una nuova edizione critica del testo, condotta a partire da uno studio ampliato e aggiornato della tradizione manoscritta.

La rilettura-discussione sullo scambio di coblas tra Sordello e Carlo d’Angiò (vedi Petrossi in Lt, 2, 2009) rientra nel genere letterario delle ‘conseguenze’. In questo caso le conseguenze non derivano dall’amore o da altri nobili sentimenti, ma da quella che si può chiamare ‘metamorfosi di una moglie’. Il risultato di questa metamorfosi ridefinisce i rapporti che intercorrono fra i due interlocutori, determinando esiti non previsti e non banali.

 

5, 2012

L’attribuzione di questo componimento lirico al trovatore rouergate Daude de Pradas secondo l’unico latore occitano, ovvero il canzoniere C, è stata considerata impossibile o per lo meno sospetta da molti studiosi per il solo fatto che la sua prima strofa è citata, come «chançon auvrignace», all’interno del Roman de la Rose (o Guillaume de Dole) attribuibile a Jean Renart e datato inizialmente ai primissimi anni del sec. XIII. Il criterio cronologico, anche alla luce della recente collocazione dell’attività poetica di Daude fra il 1191 e il 1242 (Larghi), risulta comunque insufficiente per dirimere la questione attributiva. In questo contributo – dove si propone un’edizione del testo formalmente più conservativa rispetto a quella di Appel (1890) finora di riferimento, senza traduzione o note – vengono presentati e discussi per la prima volta dati d’ordine codicologico (ordinamento e fonti della sezione Daude de Pradas in C), metrico, stilistico-tematico e anche musicale, sulla base della notazione presente nel ms. W. Si perviene così all’ipotesi che la canzone 124.5 sia opera d’un autore appartenente al filone degli imitatori di Marcabru e dunque relativamente antico (terzo quarto del sec. XII), mettendo da parte l’attribuzione isolata a Daude de Pradas.

L’articolo fornisce una nuova edizione critica dei componimenti Se·l mals d’amor m’auzi ni m’es noisens di Blacasset e Dieus es amors e verais salvamens di Pujol. I due trovatori corrispondono su un tema del tutto inedito per la lirica occitana: l’entrata in convento di due giovani dame. Se Blacasset si rammarica della scelta della vita monastica da parte delle due, impiegando toni da compianto funebre, Pujol la esalta considerandola l’unico rimedio alla corruzione del mondo. La tenzone fra donne Na Carenza al bel cors avenenç sembra strutturarsi come una parodia di questo dittico lirico: nel dialogo Alaisina e Yselda, temendo la prospettiva della maternità, chiedono a Na Carenza se sia opportuno restare vergini oppure sposarsi; quest’ultima consiglia loro, in termini criptici e di difficile intepretazione, di prendere i voti, così da avere un marito (Dio) ma non dei figli. Di questo ultimo testo, di cui si invita anche a mettere in discussione l’autorialità femminile, si propone una nuova esegesi alla luce del dibattito, molto vivo in epoca medievale, sull’opportunità e le prerogative della verginità.

L’articolo fornisce una nuova edizione critica, con apparato, commento e traduzione, di una serie di coblas tràdite – anonime e in sequenza – nel florilegio presente ai ff. 55-66 del canzoniere P: BdT 461.126; BdT 461.193; BdT 461.246; BdT 461.217; BdT 461.133 (si tratta sempre di unica). In particolare, si sottopongono al vaglio critico le attribuzioni finora proposte per una o più di queste coblas (in passato spesso è stato tirato in ballo il nome di Paolo Lanfranchi da Pistoia, autore del sonetto in forma di cobla tràdito su P immediatamente prima dei componimenti qui presi in considerazione) e si discute l’ipotesi avanzata da più studiosi (e sostenuta con vigore di dati soprattutto da Stefano Asperti) che la sequenza in questione segnali una forte presenza di tradizioni toscane nel canzoniere P, concorrendo notevolmente, tra l’altro, a delineare una «solidarietà di fondo» (Asperti) tra taluni aspetti della cultura letteraria di Dante ed il canzoniere medesimo.

Linda Paterson
Austorc de Segret, [No s]ai qui·m so tan suy [des]conoyssens (BdT 41.1)

Questo sirventese, composto all’indomani della seconda crociata di Luigi IX e della sua morte a Tunisi nel 1270, pone due questioni principali: l’identità di Haenric e la presentazione da parte di Austorc del componimento come un devinalh, nella tradizione di Guglielmo di Poitiers e di Raimbaut d’Aurenga. Contro l’ipotesi che Haenric sia l’Infante Enrico di Castiglia, i versi «qu’era de sen de saber e par ses / e tot lo era mielhs de sos parens» rimandano decisamente al figlio di Riccardo di Cornovaglia, Enrico d’Allemagna. La confusione mentale e spirituale di chi parla di fronte alla sconfitta della fede cristiana è attribuita a una forza sconosciuta, sia Dio stesso o un diavolo, e, sulla scia di questo non meglio specificato diables, esperitz suggerisce uno spirito maligno e potrebbe fare riferimento a Carlo d’Angiò. L’evocazione retorica della tradizione del devinalh serve a esprimere sgomento per il fallimento di Luigi e a ritorcerne la colpa su suo fratello Carlo. Essenzialmente propagandistico, il sirventese è privo dell’acutezza dei precedenti esempi della tradizione enigmistica, benché il potenziale non sviluppato in questa direzione insinui la possibilità che Dio distrugga la sua stessa religione.

Linda Paterson
Calega Panzan, Ar es sazos c’om si deu alegrar (BdT 107.1)

Questo sirventese ghibellino del 1268 celebra la spedizione in Italia di Corradino, il giovane erede della dinastia Hohenstaufen, che aspirava alla corona imperiale sfidando papa Clemente IV e il suo alleato Carlo d’Angiò, ed era oggetto di una crociata politica contro i cristiani. I lavori più significativi su questi eventi storici si devono a Jeanroy e, congiuntamente, a Sternfeld and Schultz-Gora nel 1903, ma le loro argomentazioni sono talvolta confuse oltre che ormai datate. La nostra discussione tenta di chiarire i loro ragionamenti, il testo stesso e la situazione storica alla luce di una nuova edizione critica del sirventese e delle più recenti ricerche storiografiche e di altro tipo. A differenza di quanto sosteneva Jeanroy, il trovatore appare bene informato degli eventi che evoca e la sua virulenta polemica può avere alimentato i tentativi angioini di censura.

Gianluca Valenti
Arnaut Daniel, D’autra guiza e d’autra razo (BdT 29.7)

La lettura si focalizza su alcuni aspetti della canzone di Arnaut Daniel D’autra guiza e d’autra razo che, nonostante la fama di cui godette (alcuni versi furono rielaborati da Petrarca nel sonetto proemiale dei RVF), ha ricevuto in tempi moderni un’attenzione critica relativamente scarsa. In particolare, ci si sofferma sull’incipit, la cui alterità così palese rispetto al resto della produzione lirica occitana denota un’esplicita dichiarazione d’intenti da parte dell’autore; sull’assenza della tornada; e, infine, sulla possibilità di un influsso su Arnaut Daniel della sezione della Rhetorica ad Herennium concernente la mnemotecnica. L’ipotesi di un riuso di materiali relativi all’arte della memoria permette inoltre di chiarire alcuni aspetti di loci testuali particolarmente problematici, come i vv. 5-7 e il v. 34.

 

3, 2010  

Francesca Andolfato
Gausbert de Poicibot,
Be·s cuget venjar Amors (BdT 173.2)

L’articolo propone un commento e una nuova edizione critica del componimento di Gausbert de Poicibot Be·s cuget venjar Amors, appartenente alla modalità poetica della mala chanso, particolarmente in voga all’epoca in cui opera il trovatore limosino. All’abbandono dell’amore corrisponde la riconquista del senno e della ragione da parte dell’io lirico che, con tono quasi precettistico, giustifica la propria separazione da midons, rivelando apertamente di aver finora proclamato le lodi di una donna indegna di riceverle. La canzone è inoltre accostata ad altri esempi caratteristici del sottogenere in cui rientra, primo tra tutti, Si be·m partetz, mala dompna, de vos di Gui d’Uissel (BdT 194.19), considerato il paradigma della mala chanso e probabilmente noto allo stesso Gausbert de Poicibot, benché venga qui messo in risalto come tale modalità poetica affondi le sue radici già in trovatori delle precedenti generazioni, ad esempio Bernart de Ventadorn e soprattutto Raimbaut d’Aurenga, ai quali Gausbert sembra rifarsi assumendoli come modelli.

Paolo Di Luca
Falquet de Romans, Ma bella dompna, per vos dei esser gais (BdT 156.8)

Ma bella dompna per vos dei esser gais di Falquet de Romans è stato a lungo considerato dalla critica come una canzone cortese. Il componimento ha, tuttavia, una forma metrica direttamente derivata dall’epica, come dimostrano l’utilizzo di decenari monorimi con cesura epica non sistematica e la presenza di un petit vers a chiusura di ogni strofe; esso può essere quindi definito strofico ma non lirico perché versificato alla maniera delle canzoni di gesta e di conseguenza musicato con una melopea epica. Nel contenuto, inoltre, rispecchia la strutturazione retorica del salut d’amor, genere epistolare in cui l’amante invia un messaggio alla sua dama con cui le chiede di corrispondere al suo amore. Ma bella dompna è pertanto da considerarsi come il frutto di un’ibridazione formale fra salut d’amor e chanson de geste; in questo senso, si avvicina a quei pochissimi  componimenti di natura epistolare che impiegano una forma epica, notoriamente la lettera di Raimbaut de Vaqueiras al marchese Bonifacio I di Monferrato, che è il probabile prototipo di questo esperimento poetico, e due coppie di lasse scambiate fra Gui de Cavaillon e Bertran Folco d’Avignon.

Francesca Gambino
Guglielmo di Poitiers, Ab la dolchor del temps novel (BdT 183.1)

L’articolo propone nuovi spunti su alcuni passi di Ab la douzor del temps novel di Guglielmo di Poitiers. Il termine vers (v. 4), ad esempio, è sempre stato variamente parafrasato, ma la prima spiegazione potrebbe essere quella veicolata dal contesto naturalistico: in primavera gli uccelli cinguettano tra le fronde degli alberi, emettono cioè un ‘verso’. Il significato letterale di vers potrebbe essere quindi quello di ‘suono caratteristico emesso dagli organi vocali di un determinato animale (in particolare un uccello)’. Per il v. 15, invece, all’immagine vulgata del ramo di biancospino che sta sull’albero tremblan (‘tremando’) si suggerisce di preferire la lezione alternativa entrenan (il ramo ‘sta ritto sull’albero’, ‘resiste alle intemperie’), che ha buon probabilità di essere una lectio difficilior. L’articolo si chiude con il commento del testo. L’edizione a testo è quella di Eusebi con alcune modifiche.

Marco Grimaldi
Anonimo, Totas honors e tuig faig benestan (BdT 461.234)

L’articolo analizza un planh di autore anonimo (Totas honor e tuig faig benestan) composto per la morte di Manfredi di Svevia, il figlio bastardo di Federico II scomparso durante la battaglia di Benevento nel 1266. Il testo si trova in una sezione dei manoscritti ‘gemelli’ I e K che contiene (caso unico nella tradizione manoscritta trobadorica) quasi esclusivamente compianti lirici e viene per questo motivo utilizzato come spunto per una riflessione sul concetto di ‘serie documentaria’. Nell’articolo si affronta inoltre il problema della provenienza dell’autore, da considerare probabilmente italiano per motivi linguistici e metrici, e si cerca di collocare più precisamente il planh nel contesto delle lotte tra Carlo d’Angiò e Manfredi e di chiarire la funzione della poesia politica trobadorica alla corte italiana degli ultimi Svevi.

L’articolo esamina lo ‘scambio’ fra Guillem Figueira e Aimeric de Peguillan (BdT 217.1a, 10.9) per verificare se non si tratti invece di due coblas connesse fra loro e accorpate solo in un secondo momento per esigenze editoriali. Infatti, all’interno del manoscritto H, le coblas dei due trovatori (numerate convenzionalmente come la n. 199 e la n. 200) sono inserite all’interno di un più vasto raggruppamento, dal n. 194 al n. 200, che ospita diverbi e improperi giullareschi avvenuti forse tra Firenze e Brescia attorno al 1220. L’ipotesi che viene avanzata è che la successione di questi testi sia l’esito di un’ideazione antologica voluta da chi ha assemblato il codice H, mettendo in successione taluni testi tipologicamente affini per l’insistente presenza degli stessi personaggi e per l’atmosfera di vita tabernaria che si coglie uniformemente in quei versi. Di conseguenza, quello che finora è stato catalogato come uno ‘scambio’ fra Guillem Figueira e Aimeric de Peguillan, potrebbe invece essere più semplicemente una successione di coblas che condividono fra loro identità di struttura strofica, di rime ed analogie anche sul piano della filologia materiale.

Giuseppe Noto
Anonimo, Mout home son qe dizon q’an amicx (BdT 461.170)
con Anonimi, Fraire, tot lo sen e·l saber (BdT 461.123b), Quecs deuria per aver esser pros (BdT 461.173), Mant home son ades plus cobetos (BdT 461.162)

L’articolo fonisce una nuova edizione critica, con apparato, commento e traduzione, di un componimento anonimo (BdT 461.170) che finora non aveva conosciuto cure ecdotiche (e tantomeno esegetiche) e che tuttavia si presenta di notevole interesse sia per alcuni aspetti propriamente linguistici sia perché riflette un’epoca tarda e una mentalità che potremmo definire protoborghese. Il componimento viene inoltre contestualizzato all’interno del macrotesto di cui fa parte, poiché insieme alla due stanze successive sul canzoniere P (BdT 461.173 e 461.162, di cui ugualmente si fornisce edizione critica con commento e traduzione) costituisce una sequenza dotata di senso. Di BdT 461.170 si verificano infine le relazioni intertestuali con altri componimenti del medesimo genere poetico (quello dei componimenti trobadorici brevi di tipo sentenzioso e gnomico): a tale riguardo si notano sorprendenti legami con la cobla BdT 461.123b che inaugura il florilegio di esparsas contenuto in J (anche questa cobla viene qui presentata in una nuova edizione critica).

Questo componimento, benché sia stato oggetto di diverse edizioni e interpretazioni, continua a porre problemi. A che genere appartiene? Va considerato in qualche modo ‘finzionale’? Fino a che punto è coerente e a che cosa può essere attribuita la sua eventuale incoerenza? Gli interlocutori sono marito e moglie? Quante dramatis personae compaiono e chi sono? Nella presente lettura si sostiene che il suo apparente disordine deriva da problemi di trasmissione e dalle difficoltà poste da un vocabolario insolito e dal registro popolarizzante: la situazione narrativa è più semplice di quanto si sia pensato e i giochi di parole o l’ambivalenza semantica mirano al comico più che rivelare un’esibizione giullaresca. Il componimento sembra progettato come uno sketch rappresentabile con costumi, attrezzature e gestualità appropriati, forse con lo stesso trovatore che entrava in scena come un ‘cavaliere’ interrotto da una ‘donna’, la cui parte sarà stata impersonata da un altro uomo, da una donna o dallo stesso trovatore. Il testo può essere correttamente descritto come un fabliau in forma dialogica.

Si tratta di un testo – definito dall’autore «chansoneta novelha» e assegnato da C a Uc Brunenc e da M a un non altrimenti noto Peire de Blai (che diventa Peire de Brau in CReg) – che, pur non essendo certo un capolavoro, si presenta, nell’ambito della lirica trobadorica, come un esempio, tecnicamente interessante, di un inusuale e complesso intreccio di rime derivative e al tempo stesso come un caso unico di applicazione quasi perfetta dei principi sui quali si fonda la capfinitio, qui al tempo stesso applicati al collegamento interversale e a quello interstrofico (capfinitio per bordos e per coblas). Rimasto a lungo inesplorato, qualche anno fa ne sono apparse due edizioni quasi simultanee: di una è responsabile l’autore di questo articolo; l’altra è di Paolo Gresti, che ne ha giustamente rifiutato l’assegnazione a Uc Brunenc. Nella lettura, oltre a un nuovo restauro testuale – fondato su entrambi i relatori ma ispirato a una radicale applicazione del principio strutturante voluto dal poeta (che è quasi sicuramente il Peire de Blai indicato da M) –, si esaminano i problemi inerenti la singolare assunzione e posizione in M di questa chansoneta, anche nella prospettiva di una riconsiderazione ‘materiale’ dello stesso canzoniere, delle possibili circostanze della sua confezione, del periodo in cui potrebbe essere stato assemblato e successivamente ricopiato – da un’unica mano – in data più tarda di quella finora ritenuta ammissibile.

 

4, 2011  

Di Quan lo fregz e·l glatze la neus, una delle canzoni d’amore più significative di Giraut de Borneil, si presenta un testo critico con nuove ipotesi per due luoghi difficili. Al v. 48 (secondo l’ordine delle strofe già di Kolsen, che qui si conferma) si sostiene che gers, di quasi tutti i manoscritti e delle edizioni, mai spiegato in modo convincente e presente nella lessicografia con questo solo esempio, è una parola fantasma, e si propone di accettare la lezione del ms. B come una buona congettura antica: ‘di quelli che stanno dentro (il castello assediato e sono ridotti alla resa)’ que an grans guerriers, ‘che hanno grandi nemici’. Al v. 58 si fa notare che nessuna delle soluzioni già proposte regge, e si propone dubitativamente una nuova congettura: l’amante teme che la sua vita diventi plus breus ... que del quint dels quars, ‘più breve del quinto dei quarti (del giorno)’, cioè si annulli. Si recupera inoltre una figura retorica di ripetizione che marca la fine di tutte le strofe dopo la seconda, che si è persa in quasi tutti i manoscritti e nelle edizioni. Nella lettura del testo se ne mettono in evidenza le caratteristiche distintive: l’affollamento di similitudini non banali, la concentrazione sul personaggio amante, l’assenza di interventi dell’autore e della sentenziosità e delle forme di argomentazione tipiche del poeta, il ritmo incalzante che risulta dall’organizzazione sintattica e retorica. Vengono esaminati anche tutti gli elementi che possono collocare la poesia in un contesto storico determinato, sebbene, al di là di tutte le ipotesi, si possa ritenere molto probabile solo che essa fu scritta per un’occasione cortese alla presenza di Riccardo Cuor di Leone.

Maria Grazia Capusso
Rambertino Buvalelli, Ges de chantar no.m voill gequir (BdT 281.5)

Fra le liriche del trovatore italiano Rambertino Buvalelli, quasi tutte di tematica amorosa, Ges de chantar no·m voill gequir non presenta difficoltà di rilievo dal punto di vista della resa letterale del testo e della correttezza linguistica: ma a differenza di altri componimenti del bolognese (come il salut [BdT 281.3] o l’omaggio floreale a Beatrice d’Este [BdT 281.4]), esso risulta scarsamente antologizzato e ha ottenuto finora un assai limitato interesse critico. Eppure la rilettura del testo, sul manoscritto e nelle edizioni (da Casini a Melli), invita a segnalare numerosi luoghi oggetto di divergenze interpretative (e di contrastanti rese traduttorie, con variabili scelte interpuntive), di proposte di integrazione (v. le tornadas) e di emende congetturali: a questo riguardo spicca la situazione offerta dalla quarta cobla. Sul piano formale, l’autore dispiega una buona cultura letteraria: il retroterra di riferimento è ampio e variegato, come dimostrano i riscontri effettuati su motivi e formule che spaziano dall’area trobadorica occitana a quella italiana settentrionale.

Alessio Collura
Guillem Peire de Cazals, Be·m plagr’ueymais qu’ab vos dona·m valgue (BdT 227.6)

L’articolo propone una nuova edizione commentata della canzone Be·m plagr’ueymais qu’ab vos, dona, ·m valgues di Guillem Peire de Cazals e rappresenta un primo momento di ripresa critica ed ermeneutica del ‘canzoniere’ del trovatore caorsino, a lungo trascurato. Il testo, classico nella strutturazione del récit amoroso (con l’exordium primaverile, il canto per amore, il tema del miglioramento, il corteggiamento senza ricompensa, la richiesta di mercé), costituisce un invito alla pazienza del fin aman. La canso viene indagata in relazione ai rapporti metrico-tematici con altri componimenti trobadorici (le canzoni di Bernart de Ventadorn, Can par la flors josta·l vert folh [BdT 70.41] e La dousa votz ai auzida [BdT 70.23] e di Lanfranc Cigala, Ioios d’amor farai de ioi senblan [BdT 282.12]), e rappresenta in nuce quella tendenza manieristica e sperimentale che caratterizza il corpus di Guillem Peire. Nell’articolo viene inoltre proposta una datazione del componimento agli anni ’20 o ‘30 del XIII secolo.

Massimiliano De Conca
Arnaut Daniel, Sols sui qui sai lo sobrafan qe.m sortz (BdT 29.18)

Con la canzone Sols soi Arnaut si apre alla vera produzione lirica distaccandosi nettamente dagli altri due componimenti del ciclo del ferm voler (BdT 29.17 e 14): se in questi ultimi la componente retorico-metrica risulta predominante sul contenuto, la canzone Sols soi avvia una serie di riflessioni cortesi e introduce immagini poetiche destinate a riverberarsi nel resto della produzione del trovatore. Non a caso si tratta della canzone degli eccessi, metrici, stilistici e iconici. Con questa canzone Arnaut dismette i panni di joglar per vestire quelli di vero poeta di corte, come dichiara candidamente al v. 15, destinato a girare un po’ ovunque con l’intento di rimanere tuttavia fermo nei suoi sentimenti verso colei che ha in sé tutte le virtù. Si nutrirà soltanto del pensiero di lei e condurrà una vita in bilico fra l’impulso di averla, l’imbarazzo di fronte all’amore perfetto e l’umiltà della sopportazione della sua inadeguatezza. Questo piacevole imbarazzo si tradurrà in una sperimentazione poetica continua, segno di un’anima indomita che fatica, suo malgrado, a seguire «mesura ni taill».

Wendy Pfeffer
Jofre de Foixa, Subrafusa ab cabirol (BdT 304.4)

Il componimento del catalano Jofre de Foixa Subrafusa ab cabirol merita attenzione per la luce che esso getta sulle conoscenze letterarie che l’autore aveva dei suoi predecessori occitani, per le informazioni che ci fornisce sulle pratiche culinarie dell’epoca e per l’impiego di un termine alimentare raro nella Penisola iberica, unyo ‘cipolla’. Le fonti bibliografiche antiche, in particolare i libri di cucina linguadociani e catalani dei secoli XIV e XV, ci aiutano a comprendere meglio il significato delle due coblas. Il testo adottato ripropone l’edizione di Li Gotti (1952).

Francesca Sanguineti
Gui d’Uisel, Ja non cujei qe·m desplagues amors (BdT 194.11)

L’articolo fornisce una nuova edizione critica con commento della mala canso contro Amore di Gui d’Uisel Ja non cujei qe·m desplagues amors, un componimento meno noto e meno studiato rispetto all’altra e più famosa mala canso contro la mala dompna dello stesso autore, Si be·m partetz, mala dompna, de vos (BdT 194.19). Nell’articolo si affrontano tutti gli aspetti del testo, lessicali, stilistici e tematici, che consentono di classificarlo nell’ambito della poesia del disamore. Appaiono, a questo proposito, di particolare interesse l’impiego della parola fais in funzione di rimante; l’omologia fra servizio amoroso e vassallaggio feudale che legittima la dipartita da Amore, inteso come un cattivo signore; il motivo delle dame divenute chamjaritz; il tema della decadenza dei valori cortesi; l’esigenza di porre un freno alla propria denuncia di fronte alla corruzione della fin’amor. Benché l’archetipo di molti dei temi e dei motivi sviluppati sia rintracciabile già nei primi trovatori, ciò che risalta nella produzione di Gui d’Uisel, e nello specifico di questa canzone, è la coscienza di servirsi di un genere classico e lo sforzo di innovarlo dal punto di vista dei contenuti.

Adriana Solimena
Peire Vidal, Molt m’es bon e bell (BdT 364.29)

La canzone di Peire Vidal Molt m’es bon e bell è stata oggetto di studi ed analisi dedicati soprattutto alla forma metrica e al suo appartenere, più o meno a buon titolo, alla ‘grammatica formale del trobar’, ma non è stata mai analizzata come testo. L’ossessivo ritornare delle stesse parole-rima ha, di fatto, nascosto il discorso poetico e narrativo che essa contiene. La lettura propone quindi una interpretazione che tenga conto di ambedue gli aspetti, formale e testuale. Sia la struttura metrica sia il discorso poetico rappresentano iconicamente lo scorrere di un periodo temporale precisabile: periodo da confrontare con i tempi del servizio d’amore, o del servizio feudale, che non sono stati mai analizzati nella poesia trobadorica. Si può quindi parlare di una canzone dedicata ai ‘tempi dell’amore e dell’attesa’ per quanto riguarda sia il testo sia la struttura metrica. La struttura metrica, molto probabilmente, allude al modello astronomico della rotazione dei pianeti, riconfermando così l’interpretazione temporale della canzone.

 

2, 2009

L’articolo contiene una revisione, con traduzione e commento, del testo di Ben cove, pus ja baissa·l ram di Giraut de Borneil, con un nuovo esame della tradizione manoscritta, dopo le edizioni monografiche di Adolf Kolsen e di Ruth Verity Sharman. Nuova, in particolare, è la lettura del v. 20, tramandato dal solo canzoniere a, dove gli altri testimoni hanno una lacuna che Sg sembra avere colmato alla buona. Leggendo e leis s’embla, que a miralh ‘e lei si sottrae, che ha uno specchio’, si recupera un’immagine della domna resa superba dal vedere allo specchio la propria bellezza che è anche di Raimbaut d’Aurenga e di Pons de Capduoill. Nello studio introduttivo il testo è interpretato come un esempio di due aspetti della poesia di Giraut, che si esprimono in due diversi locutori del testo, l’ ‘io’ dell’autore e l’ ‘io’ del personaggio amante. Del primo, che parla nella prima strofa, conta soprattutto la propria pretesa di eccellenza; del secondo, che parla nelle strofe seguenti, si presentano contenuti e forme del discorso amoroso. Si fa anche notare che la giuntura fra le due parti, al v. 9 E per ma guerreira cui am ‘e per la mia nemica che amo’, è un punto di grande intensità poetica.

Gilda Caiti-Russo
Raimbaut de Vaqueiras, Domna, tant vos ai prejada (BdT 392.7)

Cet article se propose de lire le contrasto de Raimbaut de Vaqueiras à partir de la dimension du destinataire explicite : la noblesse impériale du Nord-Ouest de l’Italie à la fin du XIIe siècle, incarnée par les Malaspina. Le bilinguisme très particulier du texte, prend ainsi un sens socio-politique puisqu’il oppose, au pouvoir des marchands et des banquiers génois, les revendications de l’aristocratie féodale de l’arrière-pays. La relation dialectique des deux pôles mis en scène, jouée par les deux voix du jongleur et de la Génoise, n’est reste cependant pas moins littéraire : Raimbaut semble en effet opposer à la poésie populaire, «non regulata» comme le dira plus tard Dante, un siècle de poésie occitane de cour illustrée par une grande tradition formelle. Une dimension sûrement carnevalesque est ainsi garantie par l’éclairage réciproque des deux voix poétiques : si la poésie populaire est sans mesure en dépit de ses accents expressifs, la poésie des troubadours se confine, à travers la parodie du genre du salut, dans une topique en décalage avec la réalité. La proposition de Raimbaut vise donc à refonder le trobar en faisant retour à sa première origine : le comte de Poitiers et son opération politique et culturelle d’invention d’une poésie laïque d’inspiration aristocratique en langue vernaculaire. Une poésie ‘mâle’ qui trouve sa définition dans le surprenant gap de la fin.

Massimiliano De Conca
Marcabru, Lo vers comens quan vei del fau (BdT 293.33)

Lo vers comens cant vei del fau fa parte del ciclo più antico del trovatore (1130-1135), che Carl Appel ha definito «poitevinischen Zyklus». Il vers, concepito negli ambienti vicini a Gugliemo X di Poitiers, raccoglie tematiche tipiche della produzione marcabruniana: la polemica contro i suoi colleghi mistificatori e, soprattutto, la decadenza dei costumi, così lontani da quegli ideali di Joi e Proeza su cui dovrebbe fondarsi una società cortese. Formalmente il testo propone strutture metriche, lessicali e soluzioni rimiche ripetute in altra parte della sua opera. L’articolo fornisce una nuova lettura del testo a partire da due espressioni chiave, entrebescar lo vers e trobar naturau, snodo ideologico di tutta la produzione successiva e fonte di dibattito fra i suoi ‘interlocutori’, in particolare Raimbaut d’Aurenga e Bernart Marti. Merito di Marcabru è quello di aver esplicitato, unendole, la morale amorosa e la sua realizzazione poetica, concepite in modo da essere l’una alle dipendenze dell’altra. Il trovatore risulta così investito dal compito morale di scrivere una poesia che non confonda, ma renda facile il «secundum naturam vivere».

Costanzo Di Girolamo
Raimbaut d’Aurenga (?),
. . . [nu]ils hom tan . . . [n]on amet (BdT 392.26a)

L’articolo studia una canzone trasmessa da E sotto il nome di [Raim]baut de [Vaque]iras e attribuita da Bartsch e poi da Pillet, per una mera confusione causata dall’incipit frammentario, a Daude de Pradas. Fu edita per la prima volta da Cusimano (1959), che non mise in dubbio l’attribuzione del codice, mentre Linskill la ripubblicò (1964) assegnandola dubitativamente a Raimbaut d’Aurenga; in ultimo Perugi (1985) ha pensato a un tardo seguace di Arnaut Daniel. Il presente studio conferma l’attribuzione a Raimbaut d’Aurenga specie in base alle serie di rimanti, valorizzando anche il componimento come il primo esemplare di un genere che si affermerà a partire dagli ultimi decenni del secolo XII, il canto di disamore. Il testo adottato ripropone l’impeccabile edizione di Cusimano.

Giuseppe Noto
Granet ~ Bertran d’Alamano, De vos mi rancur, compaire (BdT 189.2 = 76.6)

L’articolo fonisce una nuova edizione critica, con apparato, commento e traduzione, della tenzone tra Granet e Bertran d’Alamano, De vos mi rancur, compaire. Il componimento è tràdito unicamente dal canzoniere P, in una veste non soltanto lacunosa ma a tratti anche gravemente scorretta: a tale proposito si ripercorrono le proposte dei precedenti editori e, laddove necessario, si avanzano soluzioni nuove. La tenzone si configura secondo un modello ben vivo nella poesia trobadorica, ovvero quello del dibattito tra un giullare e un personaggio di condizione sociale opposta (spesso il suo signore-protettore) , ma in questo caso tale modello è sottoposto ad una serie davvero interessante di alterazioni che devono molto ai modi della diatriba giudiziaria e finiscono per ribaltare la prospettiva e svelare la natura del componimento, da non leggersi secondo schemi realistici, bensì come ‘gioco di società’, divertissement non necessariamente legato alla realtà biografica dei tenzonanti e comunque destinato a far ridere il gruppo di companhos che ruota attorno al signore Bertran.

Giuseppe Noto
Raimon de las Salas (?) ~ Bertran Folco d’Avigno (?), Bertran, si fossetz tant gignos (BdT 406.16 = 83.1)

L’articolo fonisce una nuova edizione critica, con apparato, commento e traduzione, della tenzone Bertran, si fossetz tant gignos, tràdita dai canzonieri ADIK e attribuibile forse a Raimon de las Salas e Bertran Folco d’Avigno. Si tratta di un dibattito (che si svolge sullo sfondo della crociata albigese e nasce verosimilmente nell’Italia del Nord) teso a stabilire se abbiano più valore (tanto nelle arti militari quanto nell’ospitalità e, più in generale, nei valori cortesi) i Lombardi (ove la Lombardia sta ovviamente ad indicare l’Italia settentrionale) o i Provenzali (ovvero gli esponenti della civiltà feudale dell’insieme delle corti della Francia del Sud). In particolare si rivela interessante la contrapposizione tra l’Occitania e la sua etica squisitamente cortese e la logica esclusivamente economica (anzi economicistica) della Lombardia.

Antonio Petrossi
Sordello, Toz hom me van disen en esta maladia (BdT 114a.1)
Carlo d’Angiò, Sordels diz mal de mi, e far no lo·m deuria (BdT 437.37)

La lettura offre un nuovo commento e una nuova edizione critica del breve scambio di coblas che vede protagonisti Sordello e un interlocutore non identificato. Conservato nella carta 65ra del ms. P, in chiusura dell’ampia sezione dedicata alle coblas esparsas (alle carte 55-66), il testo è formato da due stanze di sei versi strutturate, dal punto di vista tematico, secomdo il particolare schema del lamento per il dissolvimento delle virtù liberali del signore. Sebbene sia un’espressione marginale della produzione lirica di Sordello, il testo è portatore di alcuni elementi che sono rilevanti per la comprensione dell’opera e della biografia del trovatore. I versi rappresentano infatti la trasfigurazione letteraria della rottura tra Sordello e il suo interlocutore, identificato come Carlo I d’Angiò, rottura maturata dopo la conquista del regno di Sicilia, quando si completa il disegno del nuovo sovrano nel superare un assetto ideologico improntato a una visione cortese-cavalleresca, di cui il trovatore era la massima espressione nel tempo.

Francesca Sanguineti
Albertet, Donna pros e richa (BdT 16.11)

L’articolo fornisce un commento e una nuova edizione critica di Donna pros e richa di Albertet, componimento singolare già per la sua struttura metrica, a metà strada tra canzone e descort isostrofico. Lo schema è identico a quello del Carros di Raimbaut de Vaqueiras (BdT 392.32): è probabile che la metrica del componimento di Albertet sia da ritenere quella originale, mentre Truan, mala guerra sarebbe un contrafactum, visto lo statuto di sirventese a cui è assimilabile. L’io lirico rivolge a una genovese una pressante richiesta d’amore, lamentando la sua indifferenza e indirizzandole addirittura violente maledizioni in chiusura di ciascuna strofe. La tonalità accesa che caratterizza la canzone si affievolisce solo verso la fine, dove in ultimo è invocato Dio, affinché protegga la donna. Ciò che emerge è quindi da un lato la conformità alla modalità poetica della mala canso, dall’altro la vistosa somiglianza con un altro componimento di Raimbaut de Vaqueiras, il contrasto con la genovese (BdT 392.7). La poesia di Albertet costituisce, pertanto, un componimento curioso da più punti di vista: per l’assetto metrico, inconsueto per il genere della canzone; per il registro espressivo, che esibisce affinità con generi narrativi come i fabliaux; per il tessuto rimico, che permette di constatare tutta una serie di analogie e scambi di rimanti in comune con i due Raimbaut, il già menzionato Raimbaut de Vaqueiras e Raimbaut d’Aurenga.

L’unica canzone che ci è pervenuta del trovatore Sail d’Escola Gran esfortz fai qui chanta ni·s deporta ha goduto di notevole fama presso i trovatori, che ne hanno più volte ripreso la melodia. L’aspetto più interessante consiste senza dubbio nel fatto che la canzone ci dà notizia di un altro componimento (o di altri?) nel quale il trovatore si era cimentato nella pratica della mala canso, ritenendo a buon diritto di poter offendere la dama che si era dimostrata una cattiva amigua. Il testo risulta ambiguo: si presenta come una canzone d’amore e di scuse verso la dama, un tempo maltrattata, ma non mancano velate minacce di vituperio nel caso in cui questa non si mostri nuovamente ben disposta verso l’amante. Lo studio propone una nuova interpretazione della similitudine che occupa i vv. 5-7 e corregge in alcuni luoghi l’edizione precedente (Chabaneau).

 

1, 2008

L’articolo fornisce una nuova interpretazione del componimento di Garin lo Brun, Nueyt e jorn. L’infrequente tipologia di questo testo dialogico pone un problema di classificazione di genere: esso comincia con una strofa in prima persona, dove si presenta il tema del dibattito interiore, seguita da una serie di strofe in cui si riporta, in discorso indiretto, l’alterco fra Mezura (‘temperanza’) e Leujaria (‘intemperanza’); inoltre, le due personificazioni si rivolgono sempre all’io lirico e non dialogano fra di loro. Composta intorno al 1150, quando un sistema di generi dialogici non era ancora codificato, Nueyt e jorn è stata classificata in vari modi dagli studiosi. La poesia contiene poi alcuni tratti arcaici che la collegano al prototipo di tenzone fra Uc Catola e Marcabru (BdT 293.6), come pure al componimento ironico e dilemmatico di Guglielmo IX, Companho farai un vers covinen (BdT 451.1 = 293.15). Un esame della varia lectio della strofa V dimostra che esistono delle affinità fra Nueyt e jorn e Cortesamen vuelh comenzar di Marcabru (BdT 183.3), conducendo così all’ipotesi che quest’ultimo testo sia stata una fonte diretta per Garin. I dati raccolti permettono infine di supporre che Nueyt e jorn realizzi una trasposizione del conflictus mediolatino fra vizi e virtù nell’àmbito lirico cortese.

Paolo Di Luca
Peire Bremon Ricas Novas, Rics pres, ferms e sobeirans (BdT 330.15a)

Rics pres ferms et sobeirans di Peire Bremon Ricas Novas è una canzone cortese costruita come un panegirico della dama il cui tema principale è la ricor morale e materiale di quest’ultima. La sua forma metrica è molto complessa, a causa dell’utilizzo sistematico della tecnica del rim derivatiu; di difficile interpretazione risulta, inoltre, un discreto numero di versi e di hapax, che sono oggetto di discussione nel commento. Lo studio si focalizza poi sull’impiego che viene fatto degli etnonimi nella strofe IV: l’io lirico rivela di amare una castigliana che assomiglia a una serrana (forse il nome di una popolazione iberica) e che i suoi sentimenti verso l’amata non muterebbero se questa fosse catalana o siriana. Questi riferimenti all’origine etnica della dama possono essere letti come un calembour dal sapore burlesco oppure come una climax che, se da un lato tenta di definire gradualmente la reale provenienza della dama, dall’altro sottolinea come l’amore cortese non conosca alcun tipo di ostacolo.

Aniello Fratta
Arnaut Daniel, Lancan son passat li giure (BdT 29.11)

L’articolo fornisce un commento a Lancan son passat li giure di Arnaut Daniel, una canzone moralistica il cui tema principale è la fals’amor (l’amore sensuale). La canzone palesa forti relazioni intertestuali con Apres mon vers vueilh sempr’ordre (BdT 389.10) di Raimbaut d’Aurenga, a cominciare dall’uso delle rime -il e -iure, che non compaiono altrove nel corpus dei trovatori. Anche i vv. 37-54 della canzone di Raimbaut, diversamente interpretati dal loro principale editore, trattano di fals’amor. Ma se Raimbaut loda i piaceri dell’amore fisico, rappresentato come un’irresistibile sirena, Arnaut lo condanna e rifiuta, avendolo provato. In questo senso, Lancan son passat ha tutta l’aria di una sorta di replica polemica ad Apres mon vers. Nella concezione di Arnaut, comunque, la fals’amor, sebbene criticata, si impone come il modello vincente di comportamento cortese, considerata la sua capacità seduttiva e persuasiva, alla quale è difficile resistere. Il testo della canzone di Arnaut è quello stabilito da Eusebi, con sostanziali modifiche.

Marco Grimaldi
Cerveri de Girona, Entr’Arago e Navarra jazia (BdT 434.7a)

La rubrica del manoscritto Sg classifica Entr’Arago e Navarra jazia di Cerveri de Girona come un sompni (sogno). Le arti poetiche occitano-catalane del XIII secolo definiscono il sompni un genere tematico minore nel quale il poeta racconta eventi avvenuti in sogno (en durmen). A partire dalla rubrica di Sg e dalla definizione dei trattati, le sole tracce dell’esistenza del genere, nell’articolo si delimita quindi un piccolo corpus di cinque/sei componimenti trobadorici basati sulla narrazione di un sogno e considerabili esemplari del sompni. La tesi dell’esistenza e della circolazione al di fuori dell’area occitana di un ‘genere’ somni è inoltre messa in relazione con analoghe composizioni di Paolo Lanfranchi, un poeta pistoiese del secolo XIII, e con alcune cantigas de amigo di Johan Mendiz de Briteyros, un trovatore galego-portoghese. Nell’articolo si cerca inoltre di dimostrare la caduta, non segnalata dai precedenti editori, di un verso dell’ultima stanza e si propone una datazione del componimento attorno al 1276.

Walter Meliga
Ricau de Tarascon ~ Cabrit, Cabrit, al mieu veiaire (BdT
422.2 = 105.1)

Il lavoro costituisce un commento e una nuova edizione critica di una tenzone fra Ricau de Tarascon e Cabrit. Il secondo, già identificato con il trovatore Gui de Cavaillon, è oggi ritenuto essere un nobile cittadino di Arles. La tenzone, strutturata come un duello giudiziario, è iniziata da Ricau, che accusa Cabrit per il comportamento nei suoi confronti. La difesa di Cabrit è articolata come unordalia parodica, rigettata da Ricau, che tende a risolvere il conflitto con le armi. La disputa è probabilmente il prodotto di effettive controversie fra proprietari terrieri, anche se le allusioni nei confronti di due dame in rapporti amorosi con essi e il tono giullaresco di tutto il dialogo sposta il conflitto sul piano dellironia cortese.

Linda Paterson
Joan d’Albuzon ~ Nicolet de Turin, En Nicolet, d’un sognie qu’ieu sognava (BdT 265.2 = 310.1)

L’articolo offre una nuova edizione commentata di una tenzone tra due trovatori italiani, Joan d’Albuzon and Nicolet de Turin, nella quale si espongono un sogno e la sua interpretazione: Joan afferma di avere sognato un’aquila spaventosa in volo accompagnata da un grande vascello in fiamme, navigante per terra e proveniente da Colonia. Nicolet interpreta il sogno come un’incursione in Lombardia di un imperatore a capo di un grande esercito di soldati tedeschi, assoldato con il suo tesoro. Il sogno di Joan si conclude con la visione dell’aquila che soffia sul fuoco, producendo una vampata che illumina il Monferrato; l’aquila si ritira poi nel suo nido, dal quale tutto il mondo, ora pieno di gioia, può essere controllato. Per Nicolet ciò significa il desiderio di pace dell’imperatore dopo la vendetta e la sottomissione del Marchese di Monferrato. L’imperatore è Federico II e Paterson propone una nuova datazione della tenzone, il 1238, quando Federico, dopo la vittoriosa battaglia di Cortenuova (1237) e l’assoggettamento di diverse città della Lega lombarda, stava arrivando a Torino per ricevere l’omaggio di Bonifacio II di Monferrato.

Francesca Sanguineti
Albertet, En amor trob tantz de mals seignoratges (BdT 16.13)

L’articolo fornisce un commento e una nuova edizione critica del componimento di Albertet, En amor trob tantz de mals seignoratges, in cui il trovatore passa in rassegna alcune delle più nobili dame del suo tempo. La poesia può essere ricondotta al genere del ‘panegirico collettivo’ in cui le dame sono elogiate per ragioni essenzialmente politiche, dal momento che la loro lode è indirizzata al signore che si nasconde dietro il loro nome: esempi famosi di questo genere sono i tournoiements des dames di Huon d’Oisy e Richard de Semilli e il Carros di Raimbaut de Vaqueiras. La canzone di Albertet inizia con un tono misogino e con una polemica contro le rigide regole dell’amore cortese, giacché il trovatore dichiara che celebrare o amare le dame è vano, dato il loro comportamento immorale. Questa misoginia, rintracciabile anche in altre poesie, è in realtà sostanzialmente retorica, in quanto si rivela essere un pretesto al fine di tessere comunque l’elogio di figure femminili, ma è valutabile come uno strumento volto a rinnovare il genere della canzone d’amore da un punto di vista tematico.

Oriana Scarpati
Anonimo, Ab lo cor trist, envirollat d’esmay (BdT
461.2)

L’articolo propone una nuova edizione critica e un commento del componimento anonimo Ab lo cor trist, envirollat d’esmay, un lamento per la morte dell’amato composto in voce di donna intorno alla seconda metà del XIV secolo (anche se la presenza di cesure liriche e italiane potrebbe anticipare non di poco la datazione). Questo planh catalano applica, non senza interessanti variazioni, gli espedienti retorici tipici del genere del compianto funebre in lingua d’oc. L’analisi si concentra su due versi particolarmente complessi (19-20) per i quali si propone una nuova interpretazione.

Paolo Squillacioti
Raimbaut de Vaqueiras, Las frevols venson lo plus fort (BdT 392.21)

L’articolo fornisce un commento di Las frevols venson lo plus fort di Raimbaut de Vaqueiras, un componimento poetico usualmente classificato come devinalh (indovinello), genere poetico occitano la cui stessa esistenza è oggetto di dibattito fra gli studiosi. Le interpretazioni principali della poesia sono due: la prima, sviluppata da Tobler, afferma che ogni cobla contiene un indovinello la cui soluzione non ha relazione con le altre; l’altra, di Lawner, spiega tutti gli enigmi della poesia in chiave sessuale. L’autore dell’articolo rigetta entrambe le interpretazioni, ritenendo che la focalizzazione del testo vada cercata nelle coppie di elementi antitetici presenti in ogni cobla (forza vs debolezza; nulla vs tutto; dolcezza vs amarezza; ricchezza vs povertà), nella loro interazione reciproca, così come nelle conseguenze paradossali della loro interazione: l’ordine naturale delle cose può essere sovvertito e ciò che è impossibile può diventare possibile. Secondo Squillacioti, l’intero componimento è attraversato dall’influenza biblica.

Giuseppe Tavani
Raimbaut de Vaqueiras (?), Altas undas que venez suz la mar (BdT 392.5a)

L’articolo rimette in discussione il problema della paternità di Altas undas que venez suz la mar, un unicum attribuito dal canzoniere catalano Sg a Raimbaut de Vaqueiras: un problema a lungo dibattuto dagli studiosi. Altas undas, in cui è quasi certamente da individuare una cantiga de amigo, apparterrebbe dunque a un genere lirico galego e portoghese apparso in Galizia non prima del secondo decennio del XIII secolo, certo dopo la morte di Raimbaut. Questi dati pongono questioni di un certo rilievo: È Raimbaut l’inventore del genere cantiga de amigo? Ha imitato un modello galego che non ci è pervenuto e che anticiperebbe le origini del genere? Si è ispirato a un altro genere lirico non canonico, come la chanson de toile francese, per comporre Altas undas? Tavani riepiloga la storia critica del testo per concludere che Altas undas potrebbe essere attribuito a Cerveri de Girona, trovatore catalano del secolo XIII, o – considerando certe anomalie rimiche improprie per un professionista – a un un più tardo anonimo dilettante di area catalana.